DOI: http://dx.doi.org/10.5902/21793786661962

Submissão: 30/01/2019 Aprovação: 07/03/2018 Publicação: 15/01/2021

 

by-nc-sa


Fluxo contínuo

 

Le due anime dello schopenhauerismo:

analisi delle nuove categorie storiografiche

 

The two souls of Schopenhauerism:

analysis of new historiographical categories

 

Giulia Miglietta

Dottorato in Filosofia pressa l'Università del Salento, Lecce, Italia

giuliamillet@gmail.com

 

Abstract: La Wirkungsgeschichte dello schopenhauerismo si presenta come una complessa costellazione di eventi, incontri, influenze e trasformazioni. Per orientarsi in un fenomeno così articolato è necessario disporre di validi strumenti ermeneutici. Con il presente contributo si propone una lettura della storia degli effetti dello schopenhauerismo attraverso nuove ed efficaci categorie storiografiche emerse dalle ricerche condotte dal Centro interdipartimentale di ricerca su Arthur Schopenhauer e la sua scuola dell’Università del Salento. In particolare, il riferimento è, da un lato, agli studi di Domenico Fazio sulla Schopenhauer-Schule e, dall’altro, alle ricerche di Fabio Ciracì sulla ricezione della filosofia schopenhaueriana in Italia. Si mostrerà come la formulazione delle cosiddette “due anime” dello schopenhauerismo, una romantica e una illuministica, consente di districarsi nel variegato panorama della storia degli effetti della filosofia schopenhaueriana, in continuità con la suddivisione all’interno della Scuola di Schopenhauer tra pensatori metafisici ed eretici.

Keyword: Schopenhauer; Wirkungsgeschichte; Anima illuministica; Anima romantica; Categorie storiografiche.

 

Abstract: The Wirkungsgeschichte of Schopenhauerism is a complex mixture of events, encounters, influences and transformations. In order to orient oneself concerning such an articulated phenomenon, it is necessary to have valid hermeneutical tools at hand. In this contribution, I am going to propose a reading of the history of the effects of Schopenhauerism through new and effective historiographical categories that resulted from the research conducted by the Interdepartmental Research Centre on Arthur Schopenhauer and his School at the University of Salento. On the one hand, I will refer to Domenico Fazio’s studies on the Schopenhauer-Schule and, on the other, to Fabio Ciracì’s research on the reception of Schopenhauer’s philosophy in Italy. This approach will reveal how the formulation of the so-called “two souls” of Schopenhauerism, the romantic and the illuministic, allows us to unravel the multifaceted panorama of the history of the effects of Schopenhauerian philosophy, in line with the subdivision within the Schopenhauer-Schule of metaphysical and heretical thinkers.

Keyword: Schopenhauer; Wirkungsgeschichte; Illuministic soul; Romantic soul; Historiographical categories.

 

Nuovi contributi nella ricerca sulla filosofia di Arthur Schopenhauer

 

I recenti studi sulla ricezione del pensiero di Schopenhauer, oltre ad essere dei preziosi contributi sul piano storico-filosofico, ci consegnano nuove categorie storiografiche con le quali leggere e interpretare le idee di pensatori che in vario modo hanno sviluppato in maniera autonoma la filosofia del Saggio di Francoforte. Si tratta delle ricerche condotte dal Centro interdipartimentale di ricerca su Arthur Schopenhauer e la sua scuola dell’Università del Salento (Lecce, Italia) a cura di Domenico M. Fazio e Fabio Ciracì. Nel presente saggio, si fa riferimento, da un lato, agli studi sulla cosiddetta scuola di Schopenhauer im weiteren Sinne[1], dall’altro, al lavoro organico e sistematico sulla prima ricezione della filosofia schopenhaueriana in Italia[2]. Nel dimostrare l’esistenza di una Schopenhauer-Schule, tali ricerche offrono importanti contributi sui suoi componenti, là dove per componenti si intende «designare non solo gli allievi diretti del Saggio di Francoforte, ma anche un folto gruppo di pensatori e intellettuali, che si sono ispirati a vario titolo a Schopenhauer, proclamandosi schopenhaueriani, o che sono stati definiti tali[3]». Sulla base di questa definizione – ormai generalmente condivisa dagli studiosi della filosofia schopenhaueriana – è possibile rilevare un’ulteriore distinzione interna alla scuola. In linea con quanto affermato da Schopenhauer, Fazio individua in primo luogo una scuola di Schopenhauer in senso stretto,

quella che Schopenhauer stesso considerava la sua scuola e che è composta da coloro i quali ebbero con lui diretti rapporti di discepolato e di collaborazione[4],

e una scuola di Schopenhauer in senso lato,

il cui sviluppo ha inizio dopo la morte del maestro e che annovera tra i suoi componenti personalità che a Schopenhauer si sono ispirati a vario titolo: chi costruendo nuove metafisiche basate sui fondamenti della dottrina schopenhaueriana, chi sviluppando in direzioni originali questo o quell’aspetto particolare del suo pensiero, chi operando nell’ambito della ricerca sul pensiero di Schopenhauer fissandone, diffondendone e difendendone i principi; in breve tutti coloro i quali si sono detti schopenhaueriani o sono stati detti schopenhaueriani[5].

Inoltre, mentre la scuola in senso stretto si compone di apostoli ed evangelisti, indicando rispettivamente i seguaci di Schopenhauer che non scrivevano su di lui e coloro i quali scrivevano su di lui, nella scuola in senso lato Fazio distingue tra pensatori metafisici ed eretici. In questa sede l’attenzione è rivolta proprio a questi ultimi. Metafisici sono coloro i quali, partendo dalla metafisica della volontà, ne propongono una nuova lettura, giungendo spesso a visioni del mondo distanti e indipendenti dalla comune radice schopenhaueriana. È il caso di pensatori come Julius Bahnsen, Eduard von Hartmann e Philipp Mainländer. Su un altro versante si pongono invece gli eretici, i quali – come afferma Fazio – hanno sviluppato in maniera autonoma e originale singoli aspetti legati prevalentemente alla dottrina etica di Schopenhauer. Questi pensatori non possono essere ricondotti interamente alla filosofia del Saggio di Francoforte senza limitarne l’importanza che ciascuno di loro ha nella storia delle idee. Nel definirli eretici del pensiero di Schopenhauer, Fazio coglie a un tempo la complessità e la criticità di ogni singolo pensatore a cui fa riferimento e la sottile ma sostanziale linea di continuità con la filosofia del Saggio di Francoforte. In particolare, Fazio prende in considerazione il pensiero di Friedrich Nietzsche, Paul Rée, Georg Simmel e Max Horkheimer.

In linea con le considerazioni di Fazio sugli sviluppi della filosofia schopenhaueriana nella Schopenhauer-Schule, si collocano le ricerche di Ciracì sulla prima ricezione della filosofia di Schopenhauer in Italia. Si tratta del primo studio sistematico sugli sviluppi dello schopenhauerismo in Italia nel periodo che va dal 1858 al 1914. Oltre a scardinare il consolidato pregiudizio secondo il quale la filosofia di Schopenhauer in Italia sia del tutto assente[6], Ciracì consegna nuove categorie storiografiche con le quali orientarsi nel variegato gioco delle influenze dello schopenhauerismo nel panorama culturale italiano. Ciracì ritiene cioè che sia possibile narrare la storia dell’influenza e della ricezione del pensiero del Saggio di Francoforte attraverso ciò che chiama le “due anime” dello schopenhauerismo, una illuministica e una romantica. Illuministica è per Ciracì la lettura schopenhaueriana

di ispirazione kantiana, maggiormente attenta alla teoria della conoscenza e allo Schopenhauer moralista, la quale guarda al filosofo del Mondo come a un critico dei costumi, filosofo del disincanto e del disinganno;

romantica invece l’anima

in cui si esprimono le suggestioni esoterico-spiritualiste dello schopenhauerismo, con il riferimento costante al buddhismo e al primato della musica. […] Romantico deve considerarsi anche lo Schopenhauer irrazionalista e vitalista, diverso dallo Schopenhauer interpretato in senso religioso[7].

Lungi dal compiere una riduzione della complessità di un fenomeno così articolato qual è lo schopenhauerismo in Italia e più in generale nella cultura europea nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, Ciracì espone criticamente, da un lato, il confine tra le due tendenze e, dall’altro lato, il delinearsi di una convergenza, a volte sottile, spesso netta, tra l’anima illuministica e quella romantica.

Così, Ciracì passa in rassegna pensatori dall’anima illuministica come Giacomo Barzellotti, Ettore Zoccoli, Giovanni Papini, Giovanni Vailati e Giuseppe Melli e pensatori dall’anima romantica come Angelo Conti, Angelo De Gubernatis, Oscar Chilesotti, Alessandro Costa, Giuseppe De Lorenzo, Giovanni Amendola, Eva Kühn.

Inoltre, nello scandire le diverse fasi della ricezione dello schopenhauerismo nell’arco di tempo compreso tra il 1858 e il 1914, Ciracì scorge in ognuna di esse una differente natura. Emerge non solo un’evoluzione generale nel tempo da un gruppo di pensatori a un altro, ma anche uno sviluppo interno al pensiero dei singoli studiosi della filosofia di Schopenhauer, in virtù di un comune sentire o, più propriamente, di un comune reagire a visioni del mondo alternative e in contrasto fra loro. Accade infatti che a partire dai primi anni del Novecento si assiste a una trasformazione delle due anime dello schopenhauerismo, le quali – come sostiene Ciracì – sfociano in una sorta di convergenza nel pensiero di intellettuali come Piero Martinetti[8]. Diversi sono anche i pensatori che con il passare del tempo hanno sperimentato in prima persona un cambio di rotta rispetto alle loro posizioni di partenza, o in cui la commistione di elementi eterogenei ha permesso loro di svincolarsi da categorie fisse, superare un pensiero unidirezionale e, per così dire, ricomporre le due anime dello schopenhauerismo, l’illuministica e la romantica. È il caso di Giovanni Amendola, di Giuseppe Melli, per certi versi di Alessandro Costa, ma anche di schopenhaueriani irregolari come Giuseppe Rensi e Carlo Michelstaedter[9]. E a proposito di questi due pensatori irregolari, Ciracì scrive

Se si volesse estendere la classificazione sistematica proposta da Domenico Fazio per l’identificazione di una Schopenhauer-Schule anche a due pensatori irregolari come Giuseppe Rensi e Carlo Michelstaedter, l’esito scettico della visione filosofica rensiana collocherebbe il filosofo veronese immediatamente fra gli eretici della scuola schopenhaueriana italiana, mentre Michelstaedter si troverebbe, a fianco di Martinetti, fra i cosiddetti pensatori metafisici, a patto di considerarlo come un metafisico del pensiero negativo. Sia Rensi sia Michelstaedter ammirano Schopenhauer e sono detti schopenhaueriani. Entrambi, inoltre, rappresentano casi unici di schopenhauerismo, perché sono iscritti nel contesto post-nietzscheano delle filosofie della crisi, ovvero nella cornice di un superamento delle metafisiche classiche, sistematiche e fondate su principi assoluti. Pertanto, Rensi e Michelstaedter vanno considerati più correttamente come due schopenhaueriani irregolari, figure asintotiche rispetto a movimenti e correnti di pensiero dominanti, sfuggevoli a categorizzazioni per la dimensione personale del loro pensiero, come nel caso di Rensi, veri e propri solitari del pensiero, come nel caso di Michelstaedter, certamente non semplici epigoni o minori, come pure è stato scritto con molta superficialità[10].

La tesi che si vuole sostenere è che la classificazione suggerita da Fazio per la scuola di Schopenhauer in senso lato, ovvero la ripartizione dei pensatori schopenhaueriani in metafisici ed eretici, interagisce e si completa con le categorie storiografiche proposte da Ciracì, con la tendenza cioè a interpretare i seguaci della filosofia di Schopenhauer in senso illuministico o romantico. Ciò si evincerà ancora più chiaramente dall’analisi che segue.

L’obiettivo del presente saggio non è compiere un’analisi sistematica di ogni pensatore che in vario modo si è ispirato alla filosofia schopenhaueriana: per un approfondimento di questo tipo rimando direttamente allo studio del lavoro organico e puntuale di Domenico M. Fazio, La scuola di Schopenhauer. I contesti, e di Fabio Ciracì, La filosofia italiana di fronte a Schopenhauer, fonti imprescindibili del mio contributo. Piuttosto, in questa sede, si getterà uno sguardo sul panorama generale dello schopenhauerismo. Si prenderà cioè in esame la storia degli effetti della filosofia di Schopenhauer, la cosiddetta Wirkungsgeschichte, alla luce delle nuove categorie storiografiche appena introdotte, al fine di fissare e comprendere al meglio il complesso fenomeno dello schopenhauerismo attraverso nuove e più efficaci linee di ricerca.

L’analisi in questione pone l’accento sull’utilizzo di validi e più efficaci strumenti per districarsi e orientarsi in quello che di recente è stato definito da Ciracì lo Schopenhauer-Impact. Nella conferenza di apertura del convegno “Schopenhauer e o mundo contemporâneo” organizzato a Curitiba (Brasile), nei giorni 24-25-26 giugno 2020, Fabio Ciracì descrive metaforicamente lo schopenhauerismo come «l’effetto prodotto da un meteorite caduto sulla terra, che mette fine a un’era geologica e ne inizia una nuova, instaurando nuove forme di pensiero e di filosofare. L’impatto del meteorite-Schopenhauer cambia la geologia della terra e la posizione dell’asse terrestre: il mondo non gira più attorno alla divinità, non è guidato più da alcuna intelligenza o grazia divina, non è il frutto del cosmo, cioè dell’ordine e della bellezza, ma è partorito dall’oscuro caos, ruota su se stesso, attorno al proprio vuoto non-sense, ed il suo centro infuocato è una volontà sorda e cieca». L’immagine qui proposta dà un’idea della portata del pensiero di Schopenhauer nella storia delle idee, il cui effetto – come direbbe Hans Zint – si misura non solo in profondità negli studi filosofici stricto sensu, ma anche in ampiezza nella storia della cultura in generale[11].

 

Le anime della Schopenhauer-Schul

 

L’anima romantica degli schopenhaueriani metafisici

 

Di seguito, si proverà a far interagire le categorie storiografiche utilizzate da Fazio per la scuola di Schopenhauer in senso lato con quelle ancor più ampie adoperate da Ciracì per lo schopenhauerismo – quello italiano in particolare – sul pensiero dei cosiddetti schopenhaueriani metafisici ed eretici.

Fazio scrive:

Dal ceppo della filosofia di Schopenhauer si dipanano tre principali sviluppi in senso metafisico: la realdialettica di Julius Bahnsen, la filosofia dell’inconscio di Eduard von Hartmann e la filosofia della redenzione di Philipp Mainländer. Si tratta di altrettante proposte di modifica della metafisica della volontà di Schopenhauer e della sua concezione pessimistica del mondo[12].

Per Bahnsen, la conoscenza personale di Arthur Schopenhauer e del suo pensiero è stata un’illuminazione. Come accade per tanti altri seguaci di Schopenhauer, anche Bahnsen parla dell’incontro con il Saggio di Francoforte nei termini di una vera e propria conversione[13]. In particolare, nel capitolo Le ore da Schopenhauer della sua autobiografia Wie ich wurde was ich ward, Bahnsen scrive di sentirsi «rapito in una nuova esistenza» per «aver visto faccia a faccia un genio del pensiero, ma anche un carattere della più pura sublimità». Insomma, quell’incontro fu per Bahnsen un «avvenimento epocale[14]» che gli trasformò completamente la vita. Tuttavia, tralasciando le informazioni sulla biografia e la formazione di Julius Bahnsen[15], in questa sede occorre soffermarsi sul modo in cui egli sviluppa la metafisica schopenhaueriana e sui risultati cui perviene. A partire dai Contributi alla caratterologia[16], prima importante opera pubblicata nel 1867, e proseguendo con lo scritto del 1877 Das Tragische als Weltgesetz und der Humor als ästhetische Gestalt des Metaphysischen[17], fino ad arrivare al Breviario del pessimista[18] del 1879 e infine alla sua opera principale La contraddizione nel sapere e nell’essenza del mondo[19], si assiste al progressivo sviluppo in forma autonoma e originale di una metafisica che ai tratti tipicamente schopenhaueriani affianca una distanza radicale dal pensiero del filosofo del Mondo. L’idea di Bahnsen è infatti strettamente legata alla metafisica schopenhaueriana là dove vede nella volontà l’essenza profonda del mondo; al tempo stesso però Bahnsen si allontana da Schopenhauer nel momento in cui definisce la volontà e le sue caratteristiche peculiari. Come Fazio spiega nel suo studio, per Bahnsen la volontà è in sé contraddittoria, in quanto è «voluntas nolens e noluntas volens[20]». Nella sua opera principale, La contraddizione nel sapere e nell’essenza del mondo, egli scrive che la volontà «vuole ciò che non vuole e non vuole ciò che vuole[21]». Una siffatta contraddizione non è puramente logica o ideale, ma reale, poiché appartiene all’essenza metafisica del mondo, la volontà. E in quanto tale, la contraddizione della volontà è insuperabile e non lascia spazio ad alcuna redenzione. Pertanto, Bahnsen chiama la sua visione del mondo “realdialettica” o «scienza della contraddizione reale[22]». In riferimento all’autocontraddizione della volontà di Bahnsen, Fazio è chiaro nell’affermare che la volontà «è volontà di vita (Wille zum Leben), che non vuole la vita perché essa è dolore; è volontà dalla vita (Wille vom Leben), ossia volontà di morte, che non vuole la morte perché è volontà di vita[23]». Una volontà infine declinata in senso pluralistico e realistico, quella di Bahnsen, toto genere diversa dalla volontà schopenhaueriana che eternamente vuole e dalla quale ci si può redimere.

Ancor più critico di Julius Bahnsen verso la filosofia schopenhaueriana è Eduard von Hartmann, autore della celebre Filosofia dell’inconscio[24]. Hartmann è probabilmente il pensatore metafisico per eccellenza, sia per la fortuna del suo sistema filosofico sia per il modo in cui egli ha sviluppato la metafisica della volontà di Schopenhauer. Nel cercare di risolvere le contraddizioni in cui a suo parere versa la filosofia del Saggio di Francoforte, Hartmann introduce il filosofema dell’ “inconscio”, ovvero «il principio metafisico in grado di unificare il dualismo schopenhaueriano di volontà e rappresentazione in una concezione monistica e spiritualistica della realtà[25]». Così per Hartmann, la volontà, lungi dall’essere schopenhauerianamente cieca e irrazionale, produce essa stessa rappresentazioni, seppur inconsce. Se così non fosse, la volontà non potrebbe neppure volere, in quanto non avrebbe un oggetto e sarebbe priva di uno scopo. L’intelletto, invece, anch’esso di natura spirituale, elabora le rappresentazioni consce, produce cioè i concetti. È evidente che le implicazioni della teoria di von Hartmann sono numerose, a partire dall’inscrizione della volontà in un processo storico e teleologico che Schopenhauer non avrebbe mai autorizzato, per giungere a un monismo che non tiene in alcun conto del retaggio kantiano dal quale invece il filosofo del Mondo prende le mosse. Radicalmente distante da quella di Schopenhauer è infine la fondazione del pessimismo di von Hartmann, per la quale egli introduce il cosiddetto “bilancio eudemonologico”. Si tratta di sottrarre alla somma del dolore che affligge il mondo la somma del piacere. Il risultato del calcolo di von Hartmann è chiaro: la somma del dolore supera la somma del piacere, dimostrando così che il non essere di questo mondo è preferibile all’essere, ovvero che «questo mondo presente è peggio che nessun mondo[26]». A questo proposito Lütkehaus descrive la prospettiva hartmanniana come «ein nicht sein sollendes Nichtnicht-Sein[27]». Infine, a differenza del pessimismo di Bahnsen, definito da von Hartmann un «disperato miserabilismo[28]», il pessimismo che imperversa nella Filosofia dell’inconscio prevede una forma di redenzione, seppur significativamente differente dalla redenzione teorizzata da Schopenhauer. Per Hartmann la redenzione consiste in un atto universale, il solo in grado di annichilire il mondo. Non vi è posto per la compassione e l’ascesi individualistica: lo scopo del mondo può essere raggiunto mediante uno sforzo collettivo e storico. Questi, in sintesi, i punti salienti messi in evidenza da Fazio nel suo studio.

L’ultimo dei tre principali sviluppi metafisici individuati da Fazio è la Filosofia della redenzione[29] di Philipp Mainländer. Philipp Batz – il vero nome di Mainländer – non è solo un teorico brillante, ma probabilmente il seguace schopenhaueriano dalla vita più straordinariamente coerente con le sue idee filosofiche. Sviluppando la metafisica di Schopenhauer, Mainländer fonda su di essa l’intera sua esistenza, giungendo nel 1876 all’ultimo atto estremo del suicidio, vedendo in esso uno dei mezzi individuali per accelerare il processo del mondo verso il nulla. È il caso di ricordare che il suicidio filosofico teorizzato e messo in pratica da Mainländer è radicalmente distante dalla dottrina metafisica del Saggio di Francoforte, il quale, in linea con la sua visione del mondo, non può in alcun modo accettare una simile forma di redenzione. Tuttavia, ciò che conduce Mainländer a considerare il suicidio è il vero punto di contatto con Schopenhauer: il principio secondo il quale il non essere è preferibile all’essere. Non solo però Mainländer si allontana da Schopenhauer nel momento in cui individua quelle che a suo parere sono le quattro forme di redenzione dall’essere del mondo – la conoscenza che converte la volontà di vita in volontà di morte; la costruzione dello stato socialista che indebolisce la volontà di vita con il soddisfacimento dei bisogni; la castità che impedisce il perpetuarsi della specie e il suicidio[30] –, le divergenze sorgono allorché egli affianca alla volontà immanente, schopenhauerianamente intesa, un unico principio trascendente, anteriore al mondo: Dio. Coniugando la trascendenza divina con l’idea che il non essere è preferibile all’essere, Mainländer può affermare che Dio per essere perfetto non poteva continuare ad essere, doveva necessariamente passare al nulla, al non essere. Pertanto, Gott ist gestorben e il suicidio di Dio è stata la condizione per la nascita del mondo, il passaggio necessario dall’unità alla molteplicità che dà inizio alla vita del mondo, «Questa semplice unità è divenuta, non è più. Mutata la sua essenza, essa si è frantumata completamente e totalmente verso il mondo del molteplice. Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo[31]». Nella fondazione metafisica di Philipp Mainländer la volontà di vita si trasforma in volontà di morte. Di conseguenza, Mainländer può sostenere che l’intero corso del mondo procede naturalmente verso il nulla e che la redenzione è garantita in quanto meta finale e naturale del processo del mondo. Una siffatta visione teleologica, che sfocia nella conciliazione del pessimismo con l’ottimismo, avvicina Mainländer a von Hartmann e lo allontana da Bahnsen per il quale invece – come già detto – non vi è alcuna possibilità di redenzione. Ciò che, infine, in linea di continuità con Bahnsen, è interessante ricordare è il racconto di Mainländer del suo primo incontro con il pensiero di Arthur Schopenhauer:

Nel febbraio del 1860 giunse il più grande ed importante giorno della mia vita. Entrai in una libreria e cominciai a sfogliare alcuni libri arrivati da poco da Lipsia. Trovai Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. Ma chi era Schopenhauer? Non ne avevo mai sentito il nome. Sfogliai l’opera, lessi della negazione della volontà di vivere, nel testo trovai numerose citazioni a me note, che mi fecero trasognare. Mi dimenticai di tutto ciò che mi circondava e mi sprofondai nella lettura. Infine dissi: - Quanto costa il libro? Sei ducati – Ecco i soldi! -. Afferrai il mio tesoro e mi precipitai come un pazzo da quel luogo verso casa, dove con fretta febbrile tagliai il primo volume e cominciai a leggerlo dall’inizio. Era già giorno pieno quando smisi. Avevo letto l’intera notte senza sosta. – Mi alzai e mi sentii come rinato. […] Presentii che sarei entrato nel rapporto più intimo con questo Schopenhauer, che nella mia vita era accaduta qualche cosa dal significato smisurato[32].

Può una metafisica esercitare un impatto così forte nel pensiero e nella vita di uomini che spesso per puro caso si sono imbattuti in essa? La testimonianza di Bahnsen e di Mainländer aiuta certamente a capirne la portata, ma ciò che in questa sede è opportuno evidenziare è la direzione in cui si muovono i tre pensatori metafisici presi ora in considerazione. Applicando le categorie storiografiche delle cosiddette due anime dello schopenhauerismo ai metafisici della scuola di Schopenhauer, è possibile proporre una lettura di Julius Bahnsen, Eduard von Hartmann e Philipp Mainländer in chiave romantica, nella misura in cui questi intellettuali avanzano un pensiero autonomo sviluppando un preciso aspetto della filosofia di Schopenhauer: la metafisica della volontà e tutto ciò che ad essa è strettamente correlato o può in qualche modo ad essa richiamarsi. Si pensi, ad esempio, alle derive irrazionalistiche e spiritualistiche.

 

L’anima illuministica degli schopenhaueriani eretici

 

Partendo dalla stessa stazione ma viaggiando su un altro binario, gli eretici della Schopenhauer-Schule prendono direzioni differenti da quelle seguite dai metafisici. Sviluppando perlopiù la dottrina etica del Saggio di Francoforte, il pensiero degli eretici della scuola di Schopenhauer si svincola dalla radice schopenhaueriana e acquista forma propria per imporsi in maniera originale nel panorama storico-filosofico sotto una veste illuministica.

È il caso di Friedrich Nietzsche. Egli non solo si considera uno schopenhaueriano, ma è anche un seguace impegnato nella ricerca di proseliti. Come Bahnsen e Mainländer, anche Nietzsche racconta l’incontro con la filosofia del Saggio di Francoforte nei termini di una conversione, di un evento che ha segnato profondamente la sua esistenza[33]. Nietzsche non condivide la metafisica della volontà schopenhaueriana; al contrario, egli ne fa una severa critica, attaccando con rigore il nucleo portante della teoria: l’identificazione della volontà con la cosa in sé kantiana. La critica nietzscheana alla metafisica di Schopenhauer è a tutti gli effetti una decostruzione ad ampio raggio che rivela falle profondi nella teoria del Saggio di Francoforte. Cos’è allora ciò che spinge Nietzsche a considerarsi un seguace di Schopenhauer? Nel suo studio, Fazio invita a scorgerne le ragioni nello scritto nietzscheano Schopenhauer come educatore[34] del 1874 e nell’aforisma Per il vecchio problema «che cosa è tedesco» [35] del quinto libro della Gaia scienza risalente al 1887. Parafrasando le parole di Nietzsche, Fazio scrive che egli vedeva in Schopenhauer «un maestro di libertà dello spirito». Schopenhauer per Nietzsche è «un educatore proprio perché è un liberatore[36]». La libertà a cui fa riferimento Nietzsche è una libertà che si staglia contro il tempo nell’interiorità del singolo, una libertà dall’orrore e dalle contraddizioni del mondo. Tuttavia, è una libertà che non si trascina dietro il pessimismo schopenhaueriano; al contrario, essa è reattiva, in vista di un possibile e auspicato superamento dell’ostacolo che fronteggia. In questo senso, per Nietzsche, non la metafisica della volontà, bensì la capacità di elevare l’animo è il vero valore consegnatogli dalla filosofia di Schopenhauer[37]. E ciò ha a che fare principalmente con l’uomo Schopenhauer, più che con il suo sistema. Pertanto, Fazio scrive: «Onestà intellettuale, serenità, fermezza, libertà dello spirito, fiducia nella verità e inattualità: sono questi gli insegnamenti che Nietzsche ha tratto dal suo maestro Schopenhauer. Dal filosofo. Non dalla sua filosofia[38]». In sintesi, al di là delle teorie schopenhaueriane sulla musica di cui Nietzsche si serve nella Nascita della tragedia[39], il solco profondo tracciato da Schopenhauer in Friedrich Nietzsche consiste nello sguardo disincantato sul mondo e nella capacità di affrontarlo nella sua nuda verità.

Ancora più vicino di Nietzsche alla dimensione etica schopenhaueriana è il medico, filantropo e filosofo Paul Rée, autore di uno scritto di filosofia morale di matrice schopenhaueriana intitolato Osservazioni psicologiche[40]. Come si evince già dal titolo, l’opera di Rée prende le distanze da una fondazione metafisica dell’etica, soffermandosi esclusivamente sull’analisi e sulla descrizione empirica delle azioni morali e sulle ragioni reali che permettono a Rée di teorizzare il pessimismo. In altre parole, secondo Paul Rée, non sono le speculazioni astratte che consentono di comprendere la natura dell’uomo e le cause delle sue azioni; è sufficiente un’attenta osservazione per capire che l’uomo è malvagio, che ogni sua azione è mossa dall’egoismo e che ogni sforzo in vista del raggiungimento della felicità è vano perché la felicità in sé è un’illusione. Di conseguenza, il solo modo per fuggire dalle delusioni della vita è svelare le illusioni, riconoscendone la loro vera natura. Anche in Paul Rée, lo schopenhaueriano disinganno o disincanto sul mondo – seppur scevro da ogni accezione metafisica – funge da fil rouge dell’intera dottrina etica. Pertanto, nel suo studio, Fazio ha scritto con sagacia che «Le Osservazioni psicologiche sono uno scritto permeato da un pessimismo lucido e disincantato[41]». Se, quindi, la morale non è insegnabile e le azioni sono il frutto dell’incontro del nostro carattere innato con l’educazione ricevuta e una costellazione di motivi non precisamente determinabili, allora il vero insegnamento che si può ricavare dalla teoria di Paul Rée è di «imparare a godere di quel tanto o di quel poco che le circostanze ci concedono» e «non lasciarsi turbare né dalle illusioni, né dalle disillusioni della vita[42]».

La filosofia schopenhaueriana non è poi sfuggita allo sguardo critico di Georg Simmel. Fazio ripercorre gli sviluppi del pensiero simmeliano alla luce del suo incontro con la filosofia di Arthur Schopenhauer. Tra i numerosi rimandi a Schopenhauer, in questa sede occorre soffermarsi in primo luogo sul testo intitolato Excursus sul problema: com’è possibile la società[43], pubblicato per la prima volta nel 1894. Qui Simmel avanza la tesi di chiara influenza schopenhaueriana secondo la quale «la società è una mia rappresentazione». Come la rappresentazione sussiste nella e per la relazione tra soggetto e oggetto, così la società non può prescindere dagli individui e dalle relazioni che essi instaurano. In altre parole, la società così come la rappresentazione non precede gli individui, ma segue da essi e su di essi si fonda. La teoria sociologica di Simmel è tanto articolata da non poter essere condensata in pochi righi. Tuttavia, quanto detto è sufficiente per porre l’attenzione sull’oggetto in questione: come è stata declinata sul piano etico-sociale la filosofia schopenhaueriana da Georg Simmel. Infine, occorre sottolineare il ruolo che Simmel assegna a Schopenhauer in quella che è stata definita la terza fase del suo pensiero[44]. A questo periodo è legata la lettura di Schopenhauer come il filosofo che si interroga sul senso, sul valore e sul fine della vita. Nel volume Schopenhauer e Nietzsche[45] del 1907, Simmel analizza le differenti risposte di Schopenhauer e Nietzsche in merito alla filosofia della vita, a partire dalla comune perdita di un valore assoluto e trascendente. Da un lato, l’affermazione schopenhaueriana secondo la quale la vita in sé non ha senso, scopo o fine conduce inevitabilmente alla rassegnazione e al pessimismo; dall’altro, la visione nietzscheana della vita che ha un fine in sé sfocia in un ottimismo in grado di trovare forza e crescita nella vita stessa. Pertanto, è il caso di affermare che anche in Simmel – come per gli altri pensatori eretici analizzati in precedenza – prevale lo Schopenhauer attento osservatore della realtà, il filosofo controcorrente che svela le illusioni e che è portavoce del libero pensiero.

Infine, nell’alveo dei pensatori eretici della scuola di Schopenhauer, Fazio include Max Horkheimer, il fondatore della teoria critica della Scuola di Francoforte. Horkheimer si avvicina alla filosofia grazie agli scritti di Schopenhauer e a questi fa riferimento nel corso di tutta la sua produzione filosofica: dagli scritti giovanili fino alla compiuta elaborazione della teoria critica. Pertanto – come osserva Fazio –, cenni, menzioni e rimandi a Schopenhauer non sono presenti soltanto in Eva, una novella del 1915 o nel racconto Lavoro del 1916[46], ma anche nella prolusione del 1931 per la cattedra di filosofia della società dell’Università di Francoforte, La situazione attuale della filosofia della società e i compiti di un istituto per la ricerca sociale[47], nei saggi scritti tra il 1932 e il 1941 sulla «Zeitschrift für Sozialforschung», anni in cui Horkheimer fonda la teoria critica[48], nella Dialettica dell’illuminismo del 1944[49], scritta insieme ad Adorno e in due contributi L’attualità di Schopenhauer[50] e Sul pessimismo oggi[51] pubblicati rispettivamente nel 1961 e nel 1971. Infine, l’iscrizione di Horkheimer alla «Schopenhauer-Gesellschaft» nel 1955 e il ritratto di Schopenhauer che Horkheimer aveva nel suo studio insieme a quello di Karl Marx sono ulteriori conferme dell’interesse e del riferimento costante di Horkheimer al Saggio di Francoforte. Come per gli altri eretici della Scuola, la filosofia di Schopenhauer svolge sul pensiero di Max Horkheimer una funzione di critica sociale e morale. Anche Horkheimer scorge in Schopenhauer un potere demistificatore, portavoce di una filosofia del disinganno e del disincanto del mondo, intrinsecamente segnata da un pessimismo critico. Così, nel suo studio Fazio scrive:

l’attualità di Schopenhauer consiste per Horkheimer nel fatto che egli è il teorico di una visione del mondo lucidamente disincantata, che non promette salvezze né ultraterrene né secolarizzate, ma non perciò filosoficamente rassegnata. Infatti, la sua metafisica della volontà riconosce l’irrazionalità della realtà come suo dato costitutivo essenziale e perciò non permette nessuna giustificazione dello stato di fatto. La sua dottrina morale, d’altro canto, individua nel dolore e nella finitezza il significato ultimo della vita umana e perciò può costituire il fondamento di un’etica della socialità e della solidarietà, che non ammettendo né premi né castighi ultraterreni, si caratterizza per la sua laicità[52].

Provando ancora una volta a far interagire le categorie storiografiche delle due anime dello schopenhauerismo sui pensatori della Schopenhauer-Schule, è possibile comprendere gli eretici sotto la più ampia definizione di pensatori schopenhaueriani dall’anima illuministica, ovvero – come detto in precedenza – coloro i quali sviluppano in forma autonoma aspetti legati principalmente alla dottrina etica e allo Schopenhauer moralista e che si fanno portavoce di una visione del mondo pessimistica, derivante da uno sguardo disincantato, disilluso, ma non necessariamente rassegnato.

 

Le due anime dello schopenhauerismo in Italia

 

Per comprendere più a fondo le cosiddette due anime dello schopenhauerismo occorre entrare nel vivo di ciò che Ciracì ha analizzato nel suo lavoro, il primo studio organico e sistematico sulla filosofia schopenhaueriana in Italia.

All’interno dell’arco di tempo nel quale è stata circoscritta la ricerca, ovvero tra il 1858 e il 1914, Ciracì distingue due diverse fasi della prima ricezione della filosofia di Arthur Schopenhauer nel panorama storico, filosofico e più in generale culturale italiano: una prima fase, che va dall’inizio degli anni ’70 dell’Ottocento fino ai primi anni del 1900 e una seconda fase della ricezione che dal 1903, anno della rinascita della filosofia neoidealistica, giunge alla prima guerra mondiale. Seppur indicative, le date proposte da Ciracì riflettono il contesto del tempo, il modo in cui hanno preso forma le diverse linee interpretative della filosofia schopenhaueriana e i movimenti a cui esse sono andate incontro.

Al 1858 risale il primo saggio su Schopenhauer pubblicato in Italia. Si tratta del Dialogo su Schopenhauer e Leopardi di Francesco De Sanctis. In seguito, la prima fase della diffusione della filosofia schopenhaueriana in Italia avviene su due fronti: da un lato, per mezzo della divulgazione popolare tramite alcuni circoli culturali. Si pensi al salotto fiorentino di Malwida von Meysenbug e al salotto romano di Alessandro Costa. Dall’altro lato, la ricezione schopenhaueriana si propaga in ambito accademico tramite nuovi manuali di storia della filosofia, corsi universitari e prime traduzioni italiane parziali di alcune opere di Schopenhauer. È in questa prima fase che prende avvio il delinearsi delle due anime dello schopenhauerismo, l’illuministica e la romantica. Pur mettendo in luce la difficoltà nel distinguere sempre e nettamente i due orientamenti, Ciracì descrive puntualmente il processo che ha portato alla formazione dell’una e dell’altra tendenza.

Di fondamentale importanza per la cultura europea è la Francia del tempo che riflette e propaga intorno a sé ciò che di nuovo hanno da offrire i più recenti studi. È il caso ad esempio della scelta e del modo in cui vengono effettuate le traduzioni parziali delle opere di Schopenhauer. Esse sono realizzate infatti a partire dalle traduzioni francesi già esistenti e non sulla base dei testi originali tedeschi. Così, Ciracì scrive:

Ciò significa passare attraverso la mediazione di quella cultura che ha stabilito, da un lato, una linea di continuità fra lo Schopenhauer degli Aforismi e i moralisti francesi del Settecento (ai quali in effetti il filosofo del Mondo si era esplicitamente ispirato); dall’altro lato, un’interpretazione tendente allo spiritualismo, che avvicinava l’etica di Schopenhauer alle dottrine ascetiche indiane .

Nel 1890 l’accostamento della filosofia schopenhaueriana ai moralisti francesi si riflette nella traduzione italiana della Metafisica dell’amore, ovvero del cap. 44 dei Supplementi al Mondo, a cura di Davide Monaco, il quale, nell’introduzione alla traduzione, definisce Schopenhauer non «un metafisico vano» bensì un «acuto osservatore della natura, moralista originale e scrittore chiaro e popolare. La sua maniera di pensare e di scrivere ricorda quella di Montaigne, di La Rochefoucauld, di La Bruyère, di Vauvenargues e di Chamfort ». Tuttavia, – sottolinea Ciracì – l’interpretazione illuministica nasce principalmente nei manuali di storia della filosofia, in particolare nel Grundriss der Geschichte der Philosophie di Wilhelm Tennemann, la cui traduzione italiana risale al 1855 e che inserisce Schopenhauer all’interno del movimento neokantiano di ritorno a Kant [zurück zu Kant]. Seguendo il Tennemann, anche gli altri manuali dell’epoca propongono una lettura kantiana del pensiero del filosofo del Mondo, presentando così uno Schopenhauer attento alla teoria della conoscenza, alla costruzione della morale e alla critica dei costumi. È il caso ad esempio del Manuale di storia della filosofia di Francesco Fiorentino e delle Lezioni di filosofia di Felice Tocco . Illuministica, inoltre, è l’interpretazione della filosofia di Schopenhauer che si sviluppa nel salotto fiorentino dell’intellettuale femminista Malwida von Meysenbug, la quale raccoglie intorno a sé personalità di spicco quali Giacomo Barzellotti ed Ettore Zoccoli. Insieme a questi intellettuali, la tendenza illuministica della prima fase di ricezione della filosofia schopenhaueriana in Italia coinvolge anche Helen Zimmern, Giovanni Papini, Giuseppe Vailati e Giuseppe Melli. Non è possibile in questa sede analizzare a fondo il modo in cui ciascuno di essi interpreta e sviluppa la filosofia di Arthur Schopenhauer; è sufficiente sottolineare che al di là delle differenze specifiche, ciò che accomuna i seguaci dall’anima illuministica è, da un lato, il rifiuto della metafisica della volontà e delle derive irrazionalistiche ad essa connesse e, dall’altro lato, l’affermazione del primato della vita morale e la tendenza a inquadrare Schopenhauer nel solco della filosofia kantiana.

D’altro canto, tra i promotori dell’interpretazione romantica vi è Oscar Chilesotti, il quale pubblica nel 1888 la traduzione del quarto libro del Mondo e i relativi Supplementi, enfatizzando i temi religiosi buddhisti e più in generale le teorie schopenhaueriane inerenti alla redenzione e all’ascesi. Romantica è anche l’interpretazione proposta dal salotto culturale romano di Alessandro Costa, che del pensiero di Schopenhauer predilige il primato della musica sulle altre arti. I pensatori dall’anima romantica appartenenti alla prima fase della ricezione della filosofia schopenhaueriana in Italia sono – oltre ai già citati Alessandro Costa e Oscar Chilesotti – Angelo Conti, Angelo de Gubernatis, Giuseppe De Lorenzo e i coniugi Giovanni Amendola ed Eva Kühn. Ciracì spiega che la tendenza a interpretare la filosofia di Schopenhauer in senso romantico si declina in vari modi: dal tentativo di Angelo Conti (membro del salotto musicale di Costa) di affermare il primato della contemplazione estetica e il ruolo del genio, all’interpretazione maggioritaria di Schopenhauer Buddha d’Occidente sostenuta da Alessandro Costa, fino alla inevitabile deriva spiritualistica e vitalistica di Amendola, il quale «si rivolge alla filosofia schopenhaueriana, alla ricerca di un nuovo paradigma, alternativo all’intellettualismo kantiano», «riprende i temi dell’ascetismo buddistico, cari anche alla morale schopenhaueriana» e con questi strumenti propone «una rivoluzione interiore» .

Seppur con le dovute cautele, in questa prima fase è ancora possibile individuare i promotori dell’una o dell’altra anima dello schopenhauerismo, e adoperare distintamente le due categorie storiografiche, l’illuministica e la romantica, per interpretare il pensiero dei singoli seguaci del filosofo del Mondo.

Le stesse categorie agiscono diversamente in quella che per Ciracì è la seconda fase della prima ricezione del pensiero di Schopenhauer in Italia. Nel periodo che va dal 1903 al 1914 si assiste a una convergenza delle due anime dello schopenhauerismo o più propriamente a una commistione di elementi illuministici e romantici nei pensatori schopenhaueriani. L’intellettuale in cui tale fenomeno è più evidente è Piero Martinetti. Ciracì scrive:

procedendo da Kant, per Martinetti, Schopenhauer sviluppa una forma di razionalismo che tiene conto, in maniera disincantata, della miseria del mondo, permettendo così di combattere le illusioni ottimistiche, e al contempo apre a una dimensione inedita dell’umano, indirizzandosi all’interiorità dell’uomo, come via privilegiata per accedere al regno dello spirito. In tale prospettiva, Martinetti fa di Schopenhauer sia un filosofo razionalista in senso kantiano, sia il maestro indiscusso di una nuova forma di spiritualismo, che mette capo a una visione contemplativa e mistica del mondo. Così facendo, Martinetti ricompone quelle che abbiamo definito le “due anime” dello schopenhauerismo italiano, illuministica e romantica .

Alla seconda fase appartiene anche il pensiero di alcuni studiosi in un primo momento di chiara tendenza illuministica o romantica, che successivamente hanno subito un’evoluzione nel tempo, frutto dell’interazione di elementi eterogenei tra loro in un differente contesto storico-culturale. Così Ciracì,

Caratteristica dello schopenhauerismo italiano di questa seconda fase è quindi la correzione di Kant con Schopenhauer e di Schopenhauer con Kant: è il caso di Giovanni Amendola che, da un lato, vuole superare il formalismo etico kantiano con il vitalismo schopenhaueriano e, dall’altro, rettificare l’irrazionale volontà metafisica schopenhaueriana con la kantiana volontà buona, ovvero autonoma, orientata in senso morale. Ma è anche il caso di Giuseppe Melli, per il quale se l’etica solidaristica schopenhaueriana supera il formalismo etico di Kant, al contempo l’identificazione della volontà con la cosa in sé da parte di Schopenhauer è un errore cui porre rimedio kantianamente, limitando la volontà al solo regno dell’esperienza esteriore e interiore, senza concessioni alla metafisica .

Ciracì riscontra una medesima evoluzione, seppur in forme differenti, anche nel pensiero di Giovanni Papini, di Angelo Conti, di Eva Kühn e di Alessandro Costa. La ricerca termina con gli schopenhaueriani irregolari menzionati in precedenza: Giuseppe Rensi e Carlo Michelstaedter.

Ma, ancora una volta, al di là delle naturali differenze tra i tanti seguaci di Schopenhauer a cui si è fatto riferimento en passant e di altri – per così dire – minori, ai quali non è possibile dare spazio in questa sede, ciò che accomuna tutti questi pensatori schopenhaueriani è il contesto storico-filosofico in cui lavorano e in cui, a seconda dei casi, agiscono o reagiscono. Si tratta di un momento storico caratterizzato da fragili equilibri: dalla crisi del positivismo a cui si oppone la nascente filosofia neoidealistica di Croce e Gentile, alla ricerca di un diverso paradigma, qual è la filosofia di Arthur Schopenhauer. Ciracì mette bene in evidenza questo punto:

Il pensiero di Schopenhauer è quindi riconosciuto come un’alternativa all’idealismo neohegeliano, sebbene sia difficile ridurlo a un’unica corrente o interpretazione, se è vero che al suo interno coesistono almeno due orientamenti maggioritari, i quali sviluppano, ognuno a suo modo, quelle che abbiamo chiamato le “due anime” dello schopenhauerismo, la romantica e l’illuministica. Alla prima si ricollega la lettura di uno Schopenhauer “Buddha d’Occidente”, che caratterizza in maniera costante la fortuna del pensiero schopenhaueriano in Italia e che si declina variamente, da un lato, con l’occultismo e l’esoterismo, e dall’altro, con lo spiritualismo e l’idealismo. Ad una lettura che si potrebbe definire illuministica si ricollega invece l’interpretazione degli intellettuali “leonardiani”, i quali sviluppano in senso pessimistico e scettico la filosofia di Schopenhauer, nella nuova prospettiva antimetafisica del pragmatismo di James. Tuttavia, si tratta di paradigmi dai contorni labili, come dimostra il caso dell’interpretazione di Martinetti e di Amendola, in cui le due anime dello schopenhauerismo si fondono assieme, e come a fortiori provano le letture di pensatori irregolari difficilmente collocabili in una scuola di pensiero, come lo scettico Rensi, che giunge alle posizioni irrazionalistiche della filosofia dell’assurdo; oppure come il metafisico negativo Michelstaedter che, diffidando dei valori assoluti, riconosce nella logica e nella scienza una potente espressione della rettorica che conduce a una esistenza inautentica. In questi casi, il tratto antidogmatico che caratterizza entrambe le riflessioni non giunge a posizioni illuministiche, ma sfocia rispettivamente nello scetticismo e nella critica della scienza .

La prima ricezione italiana del pensiero di Arthur Schopenhauer si conclude poco prima dell’inizio della prima guerra mondiale, nel 1914, anno che vede la pubblicazione della seconda traduzione integrale de Il mondo come volontà e rappresentazione ad opera di Paolo Savj-Lopez . La filosofia schopenhaueriana lascia spazio all’azione e all’affermazione della vita a cui fa appello il clima culturale negli anni della Grande guerra e riemergerà solo in un secondo momento, nel 1943, con il dibattito sull’esistenzialismo .

 

Conclusione

 

Il risultato dell’analisi appena effettuata è duplice: essa consente, in primo luogo, di stabilire un’interazione tra le categorie utilizzate per gli Schüler della Scuola di Schopenhauer in senso lato e quelle adoperate più in generale per l’ampio fenomeno dello schopenhauerismo. Sembra cioè possibile avvicinare i cosiddetti pensatori eretici della Scuola ai seguaci schopenhaueriani dall’anima illuministica e gli schopenhaueriani metafisici ai seguaci che propendono per una lettura romantica del filosofo del Mondo. In secondo luogo, è altresì possibile, nonché proficuo, riferirsi alle cosiddette due anime dello schopenhauerismo come a nuove ed efficaci categorie storiografiche con le quali studiare e interpretare tutti i pensatori e seguaci – non solo in riferimento alla ricezione italiana – che hanno incontrato, ammirato, criticato e sviluppato la filosofia di Arthur Schopenhauer, contribuendone in vario modo alla sua diffusione. D’altro canto, non è proprio questo un riflesso della formazione e degli studi di Schopenhauer che sfociano nella sua filosofia e si riflettono sugli sviluppi successivi di studiosi e seguaci? Il riferimento diretto è, da un lato, al pensiero romantico di Wackenroder e di Novalis e, dall’altro lato, al pensiero illuministico di Voltaire e Rousseau per i temi morali e a Kant per ciò che concerne la teoria della conoscenza . In tal senso, riprendendo la metafora dell’impatto del meteorite-Schopenhauer, Ciracì ha affermato che «lo Schopenhauer-Impact sviluppa le proprie matrici negli effetti, in due indirizzi: lo schopenhauerismo romantico e lo schopenhauerismo illuministico». Ma questa è tutta un’altra storia che certamente non è possibile esaurire in pochi righi. Ci si limita, infine, solo ad osservare come la storia degli effetti di un certo pensiero non sia in fondo radicalmente avulsa dalla storia delle influenze che hanno contribuito alla formazione dello stesso e come, forse, sarebbe il caso di approfondire lo studio anche in questa direzione.

 

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[1] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti. In: Centro interdipartimentale di ricerca su Arthur Schopenhauer e la sua scuola dell’Università del Salento (a cura di), La scuola di Schopenhauer: testi e contesti. Lecce: Pensa Multimedia, 2009.

[2] CIRACÌ, F. La filosofia italiana di fronte a Schopenhauer. La prima ricezione 1858-1914. Lecce: Pensa Multimedia, 2017.

[3] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., p. 14. Cfr. CIRACÌ, F; FAZIO, D. M.; KOßLER, M. (Hrsg.). Schopenhauer und die Schopenhauer-Schule. Würzburg: Königshausen & Neumann, 2009.

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[4] Id., p. 15.

[5] Id., pp. 15-16.

[6] Cfr. CIRACÌ, F. La filosofia italiana di fronte a Schopenhauer. La prima ricezione 1858-1914, cit., p. 11 e sgg.: Ciracì fa riferimento a un contributo di Vecchiotti, I. Schopenhauer nella filosofia italiana e nella “cultura” italiana. In Id., Arthur Schopenhauer. Storia di una filosofia e della sua “fortuna”, Firenze: La Nuova Italia Editrice, 1976, V, pp. 89-107: 89. Vecchiotti scrive: «Una ricerca degli influssi di Schopenhauer sulla cultura italiana viene ad avere un oggetto assai labile, perché, se altrove Schopenhauer ha goduto buona fortuna e si è trovato a far da strumento per fini più o meno confessabili, in Italia si è trovato addirittura in una situazione squallida, forse unica nei paesi che presumano di vantare una certa cultura. Non è raro anche oggi trovare l’intellettuale, lo storico e il saggista pronti a formulare giudizi sul nostro, senza averlo né mai letto né fiutato. Piuttosto che di Schopenhauer nella cultura italiana si dovrebbe parlare di Schopenhauer nella miseria culturale italiana».

[7] CIRACÌ, F. La filosofia italiana di fronte a Schopenhauer. La prima ricezione 1858-1914, cit., p. 18.

[8] Id., pp. 280-320.

[9] Id., pp. 389-423.

[10] Id., p. 389.

[11] ZINT, H. Schopenhauer come esperienza di vita. In: Centro interdipartimentale di ricerca su Arthur Schopenhauer e la sua scuola dell’Università del Salento (a cura di), La scuola di Schopenhauer: testi e contesti. Lecce: Pensa Multimedia, 2009, pp. 576-612.

[12] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., p. 72.

[13] Cfr. CIRACÌ, F. La conversione: teoria e storia di un topos letterario nello schopenhauerismo dell’Ottocento. Revista Voluntas: Estudos sobre Schopenhauer, Rio de Janeiro, v. 6, n. 1, 1° sem./2015, pp. 2-27.

[14] Bahnsen, J. Wie ich wurde was ich ward. hrsg. von A. Ruest. Leipzig, 1931.

[15] Cfr. Heydorn, H. J. Julius Bahnsen. Eine Untersuchung zur Vorgeschichte der modernen Existenz. Göttingen-Frankfurt a. M., 1952. Bahnsen, J. Wie ich wurde was ich ward. hrsg. von A. Ruest. Leipzig, 1931.

[16] Bahnsen, J. Beiträge zur Charakterologie. Mit besonderer Berücksichtigung pädagogischer Fragen. 2 Bde., Leipzig, 1867.

[17] Bahnsen, J. Das Tragische als Weltgesetz und der Humor als ästhetische Gestalt des Metaphysischen. hrsg. von W. H. Müller-Seyfarth. Berlin, 1995.

[18] Bahnsen, J. Pessimisten-Brevier. Von einem Geweihten. Berlin, 1879.

[19] Bahnsen, J. Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt. 2 Bde., hrsg. von W. H. Müller-Seyfarth. Hildesheil-Zürich-New York, 2003.

[20] Bahnsen, J. Das Tragische als Weltgesetz und der Humor als ästhetische Gestalt des Metaphysischen, cit., p. 6.

[21] Bahnsen, J. Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt, cit., vol. I, p. 53.

[22] Id., p. 1.

[23] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., p. 72.

[24] HARTMANN, E. Philosophie des Unbewussten. Versuch einer Weltanschauung. Berlin, Dunker: 1869.

[25] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., p. 100.

[26] HARTMANN, E. Philosophie des Unbewussten, cit., pp. 642-643.

[27] LÜTKeHAUS, L. Nichts, Zürich 2002, p. 232.

[28] HARTMANN, E., Die Schopenhauer’sche Schule, in «Die Gegenwart», 1883, p. 48.

[29] MAINLÄNDER, P. Die Philosophie der Erlösung. Berlin: Hofmann, 1876. Poi in Schriften, hrsg. von W. H. Müller-Seyfarth, 4Bde., Hildesheim-Zürich-New York 1996, Bd. I.

[30] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., pp. 122-123.

[31] MAINLÄNDER, P. Die Philosophie der Erlösung, in Schriften, cit., vol. I, p. 108.

[32] Sommerlad, F. Aus dem Leben Philipp Mainländers. In Die modernen Pessimisten als décadents. Von Nietzsche zu Horstmann. Texte und Rezeptionsgeschichte von Philipp Mainländers Philosophie der Erlösung, hrsg. von W. H. Müller-Seyfarth. Würzburg, 1993, p. 98.

[33] Nietzsche racconta la sua scoperta di Schopenhauer avvenuta nel 1865 in un frammento autobiografico scritto tra il 1867 e il 1868. Cfr. Nietzsche, F. Sguardo retrospettivo ai miei due anni a Lipsia, trad. it. Di G. Campioni e M. Carpitella, in Nietzsche, F., Opere. Edizione condotta su testo critico stabilito da G. Colli e M. Montinari, Milano: Adelphi, 1964 e sgg., vol. I, tomo 2, pp. 274-275.

[34] Nietzsche, F. Considerazioni inattuali III. Schopenhauer come educatore, trad. it. di S. Giametta e M. Montinari, in Nietzsche, F., Opere. cit., vol. III, tomo 1.

[35] Nietzsche, F. La gaia scienza, trad. it. di F. Masini e M. Montinari, in Opere. cit., vol. V, tomo II, aforisma 357, «Per il vecchio problema: “Che cos’è tedesco”», pp. 226-231.

[36] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., cit., p. 142.

[37] Id., 135.

[38] Id., 145.

[39] Nietzsche, F. La nascita della tragedia, trad. it. di S. Giametta, in Opere. cit., vol. III, tomo I.

[40] RÉE, P. Osservazioni psicologiche. A cura di D. M. Fazio. Roma: Pensa Multimedia, 2010.

[41] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., cit., p. 150.

[42] Id., p. 155.

[43] Simmel, G. Excursus: com’è possibile la società? In Il problema della sociologia. A cura di Martignani, L. e Ruggieri, D., Milano: Mimesis, 2014, pp. 142-188.

[44] Cfr. Landmann, M. Einleitung, in Simmel, G. Das individuelle Gesetz. Philosophische Exkurse. Frankfurt a. M.: 1968.

[45] Simmel, G. Schopenhauer und Nietzsche. Ein Vortägzyklus, Leipzig: Duncker & Humblot, 1907.

[46] HORKHEIMER, M. Gesammelte Schriften, Bd. I: Aus der Pubertät. Novellen und Tagebuchblätter 1914-1918. Frankfurt am Main: Fischer, 1988.

[47] HORKHEIMER, M. La situazione attuale della filosofia della società e i compiti di un istituto per la ricerca sociale [1931], in Studi di filosofia della società, a cura di W. Brede, Torino 1981, pp. 32-33.

[48] HORKHEIMER, M. Teoria critica. a cura di A. Schimdt, trad. it. di G. Backhaus, 2 voll. Torino, 1974.

[49] HORKHEIMER, M., ADORNO, TH. W. Dialettica dell’illuminismo. trad. it. di R. Solmi, Torino: Einaudi, 2010.

[50] HORKHEIMER, M. Die Aktualität Schopenhauers. Schopenhauer-Jahrbuch, XXXXII, 1961, pp. 12-25.

[51] HORKHEIMER, M. Sul pessimismo oggi, in Studi di filosofia della società, cit., p. 163.

[52] FAZIO, D. La scuola di Schopenhauer. I contesti, cit., p. 186.