Submissão: 26/02/2020 Aprovação: 12/03/2020
Publicação: 15/04/2020
Fluxo contínuo
Lo Schopenhauer “romantico” nella novella Eva del giovane Horkheimer
The “romantic”
Schopenhauer in the
young Horkheimer’s novel “Eva”
Daniele Zanghi
Bachelor of Philosophy at University Sapienza, Rome, Italy
Riassunto:
Il
presente contributo si propone di chiarire le diverse modalità di ricezione
della filosofia di Schopenhauer negli scritti giovanili di Max Horkheimer,
intitolati Aus der Pubertät. L’analisi dei testi rivela due fasi di ricezione:
la prima, di tipo romantico, copre il periodo 1914-1916, mentre la seconda,
principalmente illuministica, va dal 1917 al 1918. Il contributo si sofferma su di una novella della
prima fase in particolare, Eva, dalla quale emerge l’adesione non priva di
originalità del giovane Horkheimer alla dottrina schopenhaueriana del genio
estetico.
Parole-chiave:
Horkheimer; Schopenhauer; Novella; Carattere
immutabile; Genio estetico
Abstract:
The purpose of the present paper is to clarify the
different ways in which the young Max Horkheimer received Schopenhauer’s
philosophy in his early writings Aus der Pubertät. The text analysis reveals
that the young Horkheimer adopted during the 1914-1916 period a romantic
perspective and a more illuministic one in the 1917-1918 period.
This paper specifically focuses on a novel from the first period, Eva, from
which it appears that Horkheimer subscribed to Schopenhauer’s doctrine of the
aesthetical genius in an original way.
Keywords:
Horkheimer; Schopenhauer; Novel; Immutable character; Aesthetical genius
I. Introduzione
Nel suo lavoro sistematico di inquadramento delle diverse anime della
cosiddetta Schopenhauer-Schule, Domenico M. Fazio caratterizza Max Horkheimer come uno schopenhaueriano
“eretico”. Per eretici Fazio intende quegli autori che
non hanno
aderito alla metafisica della volontà – e perciò non possono essere compresi
tra i “metafisici” - né hanno tentato di completare il pensiero di Schopenhauer
in modo sistematico, ma hanno sviluppato soprattutto motivi presenti nella
dottrina etica del Saggio di Francoforte. Ciò che caratterizza questi sviluppi
non è la fedeltà alla dottrina originaria del maestro
ma, al contrario, l’atteggiamento critico e la ricerca di autonomia ed
originalità[1].
Della filosofia di Schopenhauer Horkheimer recepisce principalmente
due aspetti. Riguardo
al primo, il francofortese si dimostra un fedele interprete
di Schopenhauer: anche per lui, infatti, l’esistenza umana si caratterizza
innanzitutto per la sua radicale finitezza, per la sua natura caduca ed
effimera. Ciò che rende Horkheimer un “eretico” è
invece la sua interpretazione del versante illuministico della filosofia di
Schopenhauer, quello in virtù del quale l’indagine critica agisce come
smascheratrice delle illusioni del genere umano. Le illusioni che Horkheimer si
applica a svelare non sono tanto quelle di carattere naturale, quanto piuttosto
quelle di tipo sociale: in questo, la critica che egli porta avanti è una
critica di tipo materialistico. Questo atteggiamento
demistificatore si trova già negli scritti di gioventù, anche se più sotto la
forma letteraria che quella filosofica.
Gli scritti giovanili, pubblicati nel 1974 a cura del grande allievo di
Horkheimer Alfred Schmidt, portano il titolo Aus der Pubertät. Novellen und
Tagebuchblätter 1914-1918, e rivelano una precoce presa di posizione
polemica nei confronti dell’ordine esistente, sia esso incarnato
nell’istituzione familiare o rappresentato dal potere dello Stato e del capitale. Come scrive Schmidt nella sua postfazione al volume, i
tentativi letterari di Horkheimer “sono oggettivamente rivolti contro gli
interessi della propria classe. Egli presagisce che la ricchezza, l’educazione
e lo spirito presuppongono il lavoro rozzo e istupidente degli inferior”[2]. Questo presagio diventerà
sempre più una chiara convinzione con il susseguirsi dei diversi scritti.
L’evoluzione del pensiero del giovane Horkheimer è resa manifesta dalla
struttura cronologica che Schmidt ha inteso dare al volume che raccoglie gli
scritti giovanili; difatti, all’interno del volume è già possibile distinguere
grossomodo due fasi della ricezione della filosofia di Schopenhauer: la prima,
a carattere prevalentemente romantico, va dal 1914 al 1916, mentre la seconda,
dove l’istanza illuministica si manifesta più esplicitamente, va dal 1917 al
1918. La protesta contro le ingiustizie terrene è certamente già presente nel primo
gruppo di scritti: la distinzione proposta vuole solamente accentuare la
maturazione di Horkheimer sotto il profilo politico. Se nella prima fase le
soluzioni proposte per rimediare al male del mondo (o, come sottolinea Schmidt
nel suo saggio La fisionomia spirituale di Max
Horkheimer[3], il doppio
male fisico e metafisico) sono affidate all’ascesi, alla creazione artistica
del genio e alla compassione, nel secondo gruppo di scritti, invece, Horkheimer
dimostra di essere cosciente del rischio che la via estetica degeneri in una
visione del mondo da anima bella e che il Mitleid possa risultare
ipocrita. Riguardo alla periodizzazione proposta, il presente contributo si
limiterà all’analisi dei testi della prima fase, dal 1914 al 1916, quando
Horkheimer, che è nato nel 1895, è un giovane studente di diciannove-venti
anni, figlio di una ricca famiglia borghese di origine ebraica e comincia le
prime fondamentali letture di formazione. Questa sezione del volume si compone
dello scambio epistolare descritto in “Guerra”, della novella “Eva”,
dell’insieme di novelle “Nostalgia”, di “Quattro fogli di diario” e, infine,
delle dieci novelle “Volontà di conoscenza”.
II. Il contesto
della stesura degli scritti giovanili
Il lavoro di Patrizia Miggiano Influenze schopenhaueriane
nella “Sehnsucht” del giovane Horkheimer[4] offre un
approfondito inquadramento dell’atmosfera entro la quale i testi di Aus der
Pubertät furono stesi. Gli elementi identificati dalla Miggiano sono
principalmente tre: il tema del sentimento di distacco dalla normalità
dell’esistenza borghese, l’evoluzione storica del capitalismo in senso
monopolistico, la lettura di testi letterari e scritti filosofici durante il
viaggio di apprendistato insieme a Friedrich Pollock.
Partendo dal primo punto, gli scritti giovanili di
Horkheimer si collocano all’interno dell’atmosfera tardo-romantica in cui si
muoveva la gioventù tedesca di inizio secolo. Il tema della tensione tra ideale
e reale, tra la volontà di seguire i propri desideri per vivere una vita piena
e autentica, e le ingiunzioni dell’ambiente famigliare a integrarsi nella
società per diventare un individuo produttivo, vengono incarnate da numerosi
personaggi, tra i quali spiccano su tutti la Eva della novella omonima e i
protagonisti delle novelle Libertà e Il recinto. In tutti e tre i
casi la conclusione è piuttosto pessimistica: i personaggi finiscono per
rinunciare ai loro desideri e si rifugiano tra le braccia della famiglia. La
protagonista della novella Libertà, ad esempio, in un primo momento si
ribella con tutto il suo essere alla meschinità della vita di doveri che gli
prospetta la madre:
Nello
spirito della figlia fiorivano luminose fantasie; con le palpebre chiuse viveva
delle scene nelle quali l’amato le aveva parlato d’amore; udiva una voce che le
dipingeva santi ideali e compiti meravigliosamente elevati davanti ai suoi
occhi pieni di devozione, sentiva la deliziosa commozione di queste ore,
tornava a lei l’orgoglio indicibilmente edificante che non era solamente una
ragazza, ma anche un essere umano – e una nostalgia enorme e trascinatrice la
invadeva[5].
Ma alla fine, tormentata dal senso di colpa per
avere causato in qualche modo un colpo apoplettico al padre sfinito dal lavoro,
decide di sposarsi con il suo amato, un poeta, il quale dopo il matrimonio si
ritrova a dover cercare un posto in una banca. Il processo che conduce alla
rinuncia alla propria felicità e alla reintegrazione nella società viene
descritto da Horkheimer in modo ancora più approfondito nella novella Eva.
Per via
della sua ricchezza tematica e per le forti influenze
schopenhaueriane, analizzeremo dettagliatamente questa novella.
Quanto al secondo punto,
Horkheimer documenta la trasformazione del capitalismo in un senso sempre più
oppressivo attraverso le contraddizioni che affliggono non solo quei personaggi
presentati come giovani borghesi colti, ma anche le classi più umili. Ad
esempio, l’operaio Leonhard Steirer dell’omonima novella, adirato perché il figlio del suo padrone ha conquistato la donna che ama, e
più in generale per l’ingiustizia della società che riserva sempre ai ricchi
come lui tutti i beni, decide di ucciderlo e rapire l’amata, Johanna Estland,
dopo aver svaligiato la casa della vittima. Insieme a Johanna, donna dalla volontà molto debole che lo perdona pensando che
il suo crimine non possa essere condannato più dell’oppressione da loro subita
in fabbrica, Leonhard Steirer sperpera i soldi rubati, godendosi per un attimo
la vita da signore. Alla fine verrà arrestato, ma ciò che
conta è la psicologia dell’operaio, il quale, abbrutito dalla schiavitù, perde
ogni cognizione morale della vita e fantastica di vivere esattamente come
coloro che odia, come i padroni e i capitalisti.
Tra i testi raccolti in Aus der Pubertät si
contano anche delle pagine di diario in cui Horkheimer ci fa partecipi in modo
diretto dei suoi pensieri. Nel foglio datato 9 luglio
1915, il giovane pensatore, allettato per via di una ferita al piede, guarda
con compassione agli operai impiegati da suo padre e si promette di perseguire
la sua ricerca della verità e della giustizia:
Ieri mi trovavo nella nostra filiale di Hirsau. In mezzo ai boschi,
presso un ruscello, hanno costruito alcune case con complicate macchine
all’interno. Nel calore torrido stanno alcuni poveri uomini e lavorano col volto
sudato e arrossato. Devo prendere parte al lavoro di queste persone e
di mio padre e perciò devo mettere da parte le mie necessità vitali, per
produrre denaro e cotone artificiale o qualcosa di simile - no, no, no, è
impossibile: ciò significherebbe la morte della mia anima nostalgica, il
consumarsi del mio cuore assetato. Voglio fare ciò che la mia volontà, che ho
chiara, mi ingiunge. Voglio vivere e ricercare, assecondando la mia tensione
verso la verità, conoscere ciò che desidero, aiutare l’oppresso, saziare il mio
odio verso l’ingiustizia e sconfiggere i farisei, ma soprattutto cercare
l’amore, cercare amore e comprensione, di cui ogni fibra di me stesso è
assetata[6].
Destinato dal suo ambiente a diventare un produttivo
capitalista, Horkheimer si trova a dover combattere in prima persona per la
propria libertà; in questo senso, le sue novelle hanno spesso un carattere
autobiografico. Inoltre, notiamo che già in
questa prima fase di ricezione della filosofia di Schopenhauer emergono degli
elementi originali. L’etica della compassione viene declinata in senso
politico, in quanto principio attivo di resistenza e di solidarietà tra gli
oppressi.
Passando infine alle influenze artistiche e
filosofiche che hanno formato il giovane Horkheimer,
Alfred Schmidt identifica, nel suo saggio Frühe Dokumente der Kritischen
Theorie, posto a postfazione di Aus der Pubertät, quella delle opere
di Richard Wagner, di Leo Tolstoi, di Henrik Ibsen, di August Strindberg, delle
riviste Fackel di Karl Kraus e Aktion di Franz Pfemfert, e, al di
sopra di tutte, di Arthur Schopenhauer[7]. A
proposito del primissimo contatto con il pensiero di
quest’ultimo, scrive il giornalista Helmut Gumnior nella sua introduzione
all’intervista La nostalgia del totalmente Altro:
Nel 1913
Horkheimer, che allora aveva 18 anni, lesse per la
prima volta gli Aforismi sulla saggezza
della vita di Arthur Schopenhauer. Pollock gli aveva portato una sera
un’edizione Reclam degli Aforismi. Il rapporto con Schopenhauer
forma un momento importante nella sua evoluzione. Dopo la prima
guerra mondiale egli decide di darsi allo studio per ‘aver più esperienza
dell’uomo’.
Anche oggi
Horkheimer si dichiara seguace di Schopenhauer e in questa affinità spirituale
possono certamente aver giocato anche taluni paralleli biografici. Entrambi
avevano un padre che esercitava l’attività commerciale; entrambi dovevano
succedere al padre nella conduzione della ditta; entrambi furono avviati al
commercio; entrambi alla fine diventarono filosofi[8].
Oltre al significativo paragone biografico tra Horkheimer
e Schopenhauer, Schmidt ricorda che “entrambi uniscono l’intelletto mondano [weltkundig]
con la speculazione metafisica”[9]. Infine, c’è
una ragione ancora più profonda del peso della ricezione del Saggio di
Francoforte in Horkheimer: con le parole di Schmidt, “un altro paragone
consiste nel fatto che entrambi si sono spinti sorprendentemente presto a delle
visioni che per loro rimangono vincolanti”[10]. Queste idee
derivano da un comune sentimento di percezione della miseria del mondo, quello
che Schopenhauer chiama Jammer des Lebens. Tale
sentimento domina gli scritti di Aus der Pubertät, dove il punto di vista metafisico della filosofia
schopenhaueriana viene recepito in modo sentito e appassionato. Al fine di
approfondire la questione dell’influenza di
Schopenhauer su Horkheimer, ci interesseremo ora ad una novella in particolare,
Eva, che collegheremo con altri testi
giovanili al fine di stabilire analogie e differenze.
III. Eva – una
novella
Nella sua postfazione agli scritti giovanili di Horkheimer, Schmidt si
avvale di alcune tesi di György Lukács contenute nel saggio L’anima
e le forme al fine di inquadrare da un punto di vista formale le novelle
analizzate. Riprendendo la distinzione di Lukács tra forma tradizionale (nella
quale gli episodi descritti assurgono a simboli di una totalità) e moderna
(nella quale gli episodi perdono questo riferimento al tutto), Schmidt colloca
le novelle horkheimeriane a mezza strada tra le due forme. Come rileva Lukács
riguardo alla nuova novellistica, i lavori di Horkheimer si concentrano più sul
contenuto, il quale tende ad assumere sempre più l’aspetto di un trattato o di
un saggio teorico. Ma per Schmidt, più che di tesi scientifiche, bisognerebbe
parlare nel caso di Horkheimer della formulazione di idee metafisiche: in
questo modo il giovane scrittore riesce ancora ad alludere ad una totalità
compiuta, il che annuncia il lavoro della maturità, caratterizzandosi per una
vocazione pedagogica. Con le parole di Schmidt, alle novelle
di Horkheimer
inerisce
infatti un elemento monografico, anzi didattico, che prefigura la forma
saggistica dell’opera matura. Certo non si può per questo trattare, né per il
primo né per il successivo Horkheimer, di esporre contenuti
empirico-scientifici. La sua ‘volontà di conoscenza’, che domina tutti gli scritti giovanili, è da comprendere in
senso filosofico, o più precisamente metafisico. Lukács
può a ragione accentuare che la novella moderna vive più del contenuto che
della forma. Nel caso di Horkheimer questo non è però un difetto; poiché gli
eventi e i destini episodicamente modellati simbolizzano in lui, proprio in
quanto transitori e sostituibili, non la vita delle figure di turno, ma
l’essenziale qualità dell’universo; lo esprimono, per dirla con Lukács, “totalmente”[11].
Per dimostrare la presenza nella novella Eva di
questo riferimento a delle verità metafisiche universali, è sufficiente, in un
primo momento, rendersi conto che i personaggi che si avvicendano nell’intrigo
sono delle funzioni, ossia svolgono il ruolo di rappresentare delle idee
generali. La giovane Eva, figlia del ricco direttore di banca Klauss, incarna
la teoria schopenhaueriana dell’immutabilità del carattere, mentre il pittore
Michael Streit, suo principale interlocutore, è portatore di una visione del
mondo geniale, sempre in senso schopenhaueriano. Il signor Klauss e la
governante Adele Ullrich rappresentano poi l’antitesi del ruolo e delle vedute
di Streit, in quanto partigiani di un’etica utilitaristica orientata
interamente alla realizzazione mondana. Volendo tracciare uno schema, si può
dire che la crisi di adolescenza di Eva oscilla tra il conseguimento di un
punto di vista superiore sul mondo e il suo fallimento, con il ritorno tra le
braccia della famiglia borghese. Dopo una parabola iniziale nella quale sembra
che la giovane possa riuscire a liberarsi dei condizionamenti borghesi, alla
fine cederà al corteggiamento del giardiniere di suo padre Felix Leuthold, uomo
dalle vedute semplici, e si rifugerà nell’alveo familiare.
Dal punto di vista della struttura, la novella si
suddivide in tre parti. La prima, intitolata “La forza più santa”, racconta del
risveglio intellettuale della protagonista che, dialogando con Michael Streit,
si convince progressivamente a voler abbandonare il suo stile di vita in nome
degli ideali di bellezza e di verità. Nella seconda parte, intitolata “Nuova
vita”, Eva gioisce della libertà finalmente raggiunta, dimostrando tuttavia
un’irrequietezza estranea a Streit. Di tanto in tanto si mostra in disaccordo
con lui, il quale deve intervenire con le sue spiegazioni al fine di farle
ritrovare la calma. Nella terza parte, intitolata “Eva”, la protagonista,
desiderosa di trovare la propria via di realizzazione personale nell’amore,
finisce per sposarsi con il sempliciotto Felix Leuthold e va a chiedere perdono
alla sua governante, dimostrando così di aver ceduto alla determinatezza del
proprio carattere immutabile.
III.1.
L’immutabilità del carattere
I principali temi schopenhaueriani rinvenibili nella
novella sono quelli dell’immutabilità del carattere e del genio artistico. Partendo
dal primo, occorre subito dire che Eva può essere caratterizzata come
una Bildungsnovelle. In effetti, essa racconta del risveglio della
personalità della protagonista, dei sentimenti contraddittori che avverte in se
stessa, e delle scelte che si ritrova a dover prendere. Stando a quest’ultimo
punto, la novella appare come il racconto di un processo di formazione fallimentare,
nella misura in cui il suo esito ultimo è il ritorno di Eva nel seno della
normalità borghese. Prima di giungere a tale risultato, Eva, una volta
conosciuto il pittore, sembra vivere un momento di trasformazione reale: “Sì, oserò uscire da questa palude. In seguito tutto cambierà. Non sarò più
legata alle piccolezze alle quali il mio intelletto si è interessato da allora,
avrò occhi solo e soltanto per il mio obbiettivo, ossia la mia perfezione”[12].
Il contatto con Streit cambia il modo in cui Eva
guarda al mondo, anche nelle sue manifestazioni più vicine. Udendo una conversazione
tra suo padre e la governante Adele (nome schopenhaueriano che ricorda
quello della sorella del Saggio di Francoforte, nota per aver
vissuto una vita triste e sfortunata), Eva non può trattenersi dal pensare alla
meschinità delle loro opinioni. In effetti, dal suo nuovo punto di vista non
può accettare che le si parli di doveri e di responsabilità; ancor più gretta
le sembra l’opinione secondo la quale l’individuo da solo non è niente, e che
necessità di integrarsi nella società, alla quale deve oltretutto essere grato.
Vi è probabilmente qui un rimando agli Aforismi sulla saggezza della vita
di Schopenhauer, dove il filosofo distingue tra ciò che si rappresenta e ciò
che si è. Eva, nel pieno della sua ribellione giovanile, sente che il proprio
valore non si può esaurire in quello che gli altri le attribuiscono: vi è in
lei una volontà di indipendenza, di fedeltà alla propria verità personale, che
si scontra manifestamente con la commedia insensata che recitano gli adulti. Eva proclama che
“il mio intelletto è diventato il mio padrone, soltanto lui mi guiderà,
questa è libertà, questa è felicità”[13].
Tale disposizione d’animo si rafforza sempre più con
la frequentazione di Streit. Come a suggellare la loro
affinità spirituale, è Eva infatti a proporre il titolo del suo quadro di
Streit: “La forza più santa”. La forza in questione è quella dell’arte, la
quale eleva il genio al di sopra della meschinità del mondo e al di sopra della
corporeità fino al regno dello spirito. Torneremo sulla concezione dell’arte
incarnata nel personaggio di Streit; per il momento
basti osservare che Eva sembra incamminata verso una vera e propria conversione
caratteriale. Tuttavia, già nella seconda parte della novella, cominciano ad
emergere le prime divergenze tra la giovane e il
pittore. Ad esempio, Eva non riesce ad accettare l’idea della responsabilità
assoluta che ogni essere umano ha riguardo al proprio
destino. Per Streit, tutti coloro che non riescono a
liberarsi dalle passioni meritano il loro destino: ad esempio, un cieco che si
lamenta della perdita della vista è responsabile della propria sofferenza,
perché ciò significa che è ancora attaccato al proprio corpo. Si noti la torsione in senso democratico che Horkheimer opera della
dottrina della redenzione schopenhaueriana: chiunque, attraverso l’educazione o
l’auto-educazione, può essere un genio o un santo, emancipazione riservata non
solamente ai pochi privilegiati per natura[14]. Oltre ad
esprimere ripugnanza nei confronti della teoria della
colpa e della redenzione del pittore, Eva si mostra riluttante anche per quanto
riguarda la sua visione dell’amore come illusione e come impedimento al
conseguimento della vera perfezione. Il narratore della novella sintetizza
l’emergere della divergenza tra i due personaggi nel modo seguente: “Il suo intelletto pratico cercava di applicare immediatamente tutto quello
che diceva alla realtà, mentre si immaginava che con una tale opinione non si
potesse avere compassione, ci si negasse ogni piacere e si dovesse diventare un
‘cavaliere della virtù’”[15].
Tale divergenza di vedute nasconde una divergenza di carattere assai più
radicale. Nella terza e ultima parte, infatti, Eva, con l’illusione di
perseguire solamente i suoi desideri, si innamora del giardiniere Felix
Leuthold e accetta di sposarlo. Michael Streit nota immediatamente il
cambiamento che è avvenuto nella sua amica, la quale ha smesso di correre
felice per i prati e di cantare fino a notte fonda. Quando le chiede perché sia
diventata così seria, Eva gli risponde: “Il mio essere è assai
diverso dal Suo, posso forse cambiarlo per un momento attraverso i pensieri e
l’immaginazione, così da essere simile a Lei, ma per farlo durevolmente mi
manca a questo scopo la forza – e la volontà. Non ho proprio alcuna ragione di
rendermi migliore di quella che sono”[16].
Il carattere di Eva finisce dunque per prendere il sopravvento sulle sue
velleità di trasformazione. Alla fine della cerimonia con la quale si lega a
Felix, Eva scorge la sua governante Adele Ullrich e scoppia a piangere
chiedendo perdono per il suo comportamento. A chiudere
definitivamente la parabola della sua ribellione è tuttavia un dialogo con suo
marito. Alla domanda circa il significato della storia del peccato originale
raccontata dal parroco, Felix risponde che probabilmente l’angelo con la spada
simboleggia la protezione divina della “felicità del lavoro e della
vita familiare”[17] in terra. Eva si accontenta
di questo manifesto fraintendimento, così come accetta l’idea di Felix secondo
la quale l’essere umano non può sapere perché gli sia precluso il paradiso. Ciò
segna la morte completa di qualsiasi anelito alla redenzione e la fine di ogni
ricerca autonoma e appassionata della verità.
Horkheimer riserva ancora un paio di pagine all’epilogo, nel quale il
pittore Streit si intrattiene con un suo amico, interpretando la traiettoria
esistenziale di Eva. L’amico espone in modo succinto la teoria schopenhaueriana
dell’immutabilità del carattere:
ti ho sempre detto
che un essere umano può cambiare il suo essere, ossia il suo carattere,
altrettanto poco di una mucca o di qualsivoglia altra cosa in natura. Può
tutt’al più fingere, contrariamente agli animali e alle piante; per questo si
pensa che proprio l’essere umano sia in grado di rompere la legge e cambiare il
suo essere. Ma questa è un’assurdità, perché noi siamo in principio identici a
tutte le altre creature e perciò siamo sottoposti anche alle stesse leggi come
il mondo intero, del quale siamo una parte[18].
A questo punto Streit, con argomentazione tipicamente
schopenhaueriana, obietta che, se è vero che condividiamo tutti quanti la
stessa essenza metafisica, allora le differenze riguardano solamente
l’apparenza, l’esteriorità. A ciò, Streit aggiunge che è falsa l’idea che il
cambiamento sia solo una finzione: ciò è testimoniato dalla vita dei santi, che
non sono nati tali ma hanno dovuto affrontare un penoso processo di
conversione. Oltre all’ascesi, vi è anche un altra via di trasformazione: la
conoscenza. A proposito di essa, il pittore osserva che
l’essere umano possiede
la conoscenza, dovrebbe possederla e può conseguirla, e perciò può divenire
chiaro a se stesso e tal fine riuscire a flettersi in tutto quell’essere
interiore, e questo non ha bisogno di accadere d’un colpo, ma lentamente[19]:
qualche volta viene compiuto in generale solamente l’inizio di ciò. Ed è questo
che chiamo modificare il proprio essere[20].
Come Schopenhauer, anche Horkheimer crede che una modificazione
sostanziale del carattere sia possibile grazie alla conoscenza, una conoscenza
non razionale e fenomenica, ma essenziale e metafisica. Curiosamente, il
giovane scrittore unisce a questa concezione una sorta di utopia. Michael
Streit immagina in effetti una progressiva estensione della conoscenza presso
gli uomini, un’estensione che non conduce all’annullamento bensì alla
chiarificazione completa dell’interiorità umana. Questa soluzione, piuttosto
ottimistica, si allontana molto da quella proposta da Horkheimer in un’altra
novella giovanile, avanzata dal giovane Walter dello scambio epistolare Guerra,
per il quale, davanti alle ingiustizie del mondo, non si può far altro che
odiarle e resistervi, conservando un anelito rivolto al nulla. Quella via
artistica di redenzione che in Guerra appare insufficiente a Walter,
risulta invece percorribile nella novella Eva.
Alla via ascetica prospettata nello scambio epistolare e alla via
artistica rappresentata in Eva fa seguito l’esposizione della via etica
delle novelle raccolte sotto il titolo Nostalgia. In Nostalgia,
la soluzione, certo non definitiva, al male sociale e metafisico viene riposta
nella compassione. Tra i tre orientamenti di pensiero, al di là della via
estetica e di quella ascetica, la compassione è quello che incontra
maggiormente il favore di Horkheimer, tanto da influenzare in profondità anche
l’opera della maturità. Affermerà il francofortese nella sua conversazione con
Paul Neuenzeit:
Io riesco ad immaginare che gli uomini – e di ciò ci sono già indizi –
si leghino tra loro per il fatto che si riconoscono esseri finiti, e da questo
sorga una solidarietà tra le nazioni cosiddette progredite e quelle
sottosviluppate. E oso sognare che un giorno si sviluppi un atteggiamento,
connesso con la teologia, che porterà gli uomini a vedere come loro compito
essenziale quello di far causa comune, perché nessuno più muoia di fame, perché
ciascuno abbia una casa conveniente, perché nei paesi indigenti non ci siano
più epidemie. Gli uomini capirebbero di risolvere insieme i loro problemi,
avendo capito tutti che sono degli esseri finiti, e che devono rendere la loro
vita non solo più lunga, ma anche più bella[21].
La via artistica, quella preminente in Eva, è quella
che verrà invece meno sviluppata, e che già nei testi più tardivi di Aus der
Pubertät comincia ad essere accantonata. Su questa
transizione torneremo in conclusione; scendiamo ora nel dettaglio della visione
del genio mutuata da Schopenhauer.
III.2. Il genio
estetico
Sin dal dialogo iniziale con il direttore di banca
Klauss, la posizione di Michael Streit in merito all’arte è chiara: durante il
processo di creazione l’artista deve “dimenticare
tutte le relazioni della sua persona e della sua opera con l’esteriorità e
rappresentare la verità indipendentemente da ogni calcolo”[22]. Dal canto
suo, Klauss pensa che essa debba invece “creare valori, che la collettività può
in qualche modo utilizzare, o in relazione all’educazione o allo svago degli
esseri umani”[23]. All’opposto
della concezione utilitaristica del suo oste, Streit sostiene, in modo
schopenhaueriano, che l’artista debba allontanarsi dal procedimento usuale del
principio di ragion sufficiente, il quale ricerca dappertutto dei collegamenti
tra le cose, che mettono capo in ultima istanza al proprio interesse egoistico.
All’interrogazione di Eva circa il senso dell’espressione “aspirazione alla felicità” [Streben nach Glück][24] da lui
impiegata, Streit risponde che essa designa la volontà di volere le cose così
come sono. La terra è già il paradiso, se si è capaci di guardare ad essa in
modo puro e disinteressato. Il problema, per Streit, è che le persone spesso
non hanno la forza di essere felici. Appare così in modo chiaro l’alto valore
simbolico del nome stesso del personaggio: la parola Streit, ossia
contesa, designa il coraggio dell’artista, il quale, lungi dall’essere un uomo
inattivo, è capace di prendere in mano il proprio destino. Al contempo però
tale nome si pone in antitesi con la figura schopenhaueriana del
contemplatore, il genio-artista che si distacca dal mondo e dalle sue passioni:
il genio horkheimeriano possiede dunque un elemento di originalità, identificabile
nel suo essere in perpetua lotta contro le forze della terra, del basso
(dimensione metafisica) e della società che spinge i suoi
membri al conformismo (dimensione fisico-sociale). Ad ogni modo,
la fonte primaria del personaggio di Streit rimane indubbiamente il genio
schopenhaueriano, come evidenziato dalla descrizione di Horkheimer del
carattere del pittore:
Egli osservava il mondo e rifletteva molto su di esso. Questo era il contenuto della sua vita; tutto il resto, come la sua
situazione momentanea o le sue singole azioni, gli sembrava una questione
secondaria. Era impulsivo nelle sue decisioni, non pensava alle conseguenze di
quello che faceva, si rallegrava facilmente e si
intristiva rapidamente[25].
Prevalenza del modo intuitivo
di conoscere e tendenza all’irrazionalità sono precisamente le due
caratteristiche che Schopenhauer ascrive all’individuo geniale. Si paragoni la descrizione horkheimeriana di Streit con quello che
Schopenhauer afferma sul genio nel paragrafo 36 del suo capolavoro:
È anche risaputo
che è raro trovare grande genialità accoppiata a
ragionevolezza predominante; al contrario, gli individui geniali sono spesso
soggetti ad affetti veementi e a passioni irrazionali. La causa di ciò non
è tuttavia una debolezza della ragione, bensì da un lato una straordinaria
energia di tutto il fenomeno di volontà che l’individuo geniale è, e che si
esterna con la veemenza di tutti gli atti di volontà, e dell’altro una
preponderanza della conoscenza intuitiva mediante i sensi e l’intelletto su quella
astratta, quindi decisa tendenza all’intuizione, la cui impressione, presso
costoro massimamente energica, eclissa gli incolori concetti a tal punto, che
non più questi, bensì quella guida l’agire, il quale diviene appunto perciò
irrazionale; in conseguenza, l’impressione del presente è su di loro molto
potente, li trascina all’irriflessione, all’affetto, alla passione (W I, §36,
390-1).
Tornando alla spiegazione di quello che per lui significa
la parola felicità e approfondendola, Streit suggerisce a Eva di vedere, ad
esempio, “nella burrasca solamente la forza della natura, e gli animali, anche
i più selvatici, diventino per lei un meraviglioso grado della creazione”[26]. Streit si
riferisce alla teoria schopenhaueriana della contemplazione, nella quale il
soggetto non si interessa più agli oggetti individuati nello spazio e nel
tempo, ma si innalza sino all’idea, considerata come l’oggettità immediata e
dunque più adeguata della volontà. Leggiamo nel paragrafo 34 del Mondo come
volontà e rappresentazione:
Solo in
quanto nel modo descritto un individuo conoscente si innalzi a soggetto puro
del conoscere, innalzando appunto in tal modo l’oggetto contemplato a idea, il mondo
come rappresentazione si presenta in modo integro e puro, e avviene la
perfetta oggettivazione della volontà, perché solo l’idea ne è l’adeguata
oggettità (W I, §36, 376).
Tale elevazione del soggetto del conoscere alla contemplazione
dell’idea passa attraverso la soppressione di ogni suo legame con la volontà.
Streit insiste molto sul distacco dal corpo e dai suoi bisogni: egli nomina la
realtà corporea con diversi nomi, come la terra o il basso. Il risultato ultimo del
processo di allontanamento dalle necessità fisiche è la redenzione nel nulla: “Con
la cessazione dei nostri bisogni, dunque con la perfezione, il mondo deve poi
diventare per noi senza scopo, esso deve scomparire, svanire nel nulla come noi
stessi”[27].
Il dissolvimento del soggetto nell’idea contemplata rende insensata,
secondo Streit, la parola verità, intorno alla quale Eva lo interroga con
insistenza. Il fatto che la si ricerchi denota ancora una forma d’irrequietezza e
di attaccamento al mondo. Se si è capaci di rinunciare in tutto e per tutto
alla propria volontà, il mondo apparirà allora, come appena menzionato, senza
scopo. La verità si inabisserà nel nulla.
Ma al fine di raggiungere la redenzione, è necessario passare
attraverso tutti i gradi dell’essere. Questa gerarchia ontologica implica una
forma di giustificazione della sofferenza: «ogni essere si trova
su di un diverso grado, e – mi creda – senza gradi non si procede verso l’alto,
e senza sofferenza non c’è redenzione»[28]. Streit riprende
dunque in questo caso la teleologia schopenhaueriana intrecciandola alla
questione soteriologica. Il pittore mette in guardia Eva dal considerare come
ingiusta tale concezione. In effetti, egli precisa che il mondo non si è
realizzato attraverso un contratto (e dunque razionalmente), perché un
contratto prevede due parti, mentre nel mondo ne esiste una sola: il mondo
stesso. Attraverso le parole di Streit, Horkheimer dimostra di aver recepito
l’insegnamento immanentista di Schopenhauer, così come la sua visione dell’insensatezza dell’universo. Di
fronte a tale non-senso, Streit-Horkheimer pensa che le categorie morali usuali
servano solamente a rendere bugiardo l’essere umano. L’essere non va giudicato,
imponendogli categorie che non gli pertengono: bisogna al contrario riconoscere
l’esistenza di certe leggi (in questo caso teleologiche) in seno all’assurdità
stessa, e trarne le conseguenze. Queste conseguenze riguardano l’atteggiamento
che l’essere umano deve assumere, ossia cercare di innalzarsi senza cedere alla
sofferenza. Chi si lamentasse del proprio destino dimostrerebbe di meritare la
sua condizione, perché ciò testimonierebbe del suo attaccamento alla terra.
Come già ricordato, Streit esemplifica questa tesi con il caso di un uomo che,
avendo perso la vista, si dispera per questa perdita: egli è colpevole, perché
ha bisogno della vista per la sua felicità. Questo esempio sarà sviluppato
dettagliatamente nella novella horkheimeriana Luce, dove il poeta
Andreas Wied, abbandonato dall’amata quando diventa cieco, riuscirà grazie alla
compassione dimostratagli da un’altra donna a ritrovare la felicità.
Riguardo alla dottrina del peccato originale, Horkheimer condividerà per
tutta la vita l’opinione di Schopenhauer: “la dottrina più grandiosa
in entrambe le religioni, quella ebraica e quella cristiana, è – e qui mi
richiamo ad una parola di Schopenhauer – la dottrina del peccato originale. […]
Tale dottrina è possibile solo nel presupposto che l’uomo sia stato creato da
Dio dotato di libera volontà”[29].
Tale libertà è attribuita tuttavia da Schopenhauer solo
al carattere intelligibile e solo nel momento in cui egli sceglie di vivere, di
oggettivarsi come individuo. Nel contesto della novella Eva, sorprende
ad ogni modo l’intreccio tra questa dottrina etico-teologica e la prospettiva
della redenzione in chiave artistica, due prospettive che Schopenhauer invece
tiene per quanto possibili distinte, identificandole in due figure differenti,
l’artista e il santo, i quali seguono due percorsi paralleli, la via estetica
della contemplazione e la via ascetica del nirvana. Horkheimer ci dice, dal
canto suo, che le ipotesi metafisiche di Michael Streit non lo hanno condotto
alla rassegnazione; al contrario, egli è ancora capace di provare i sentimenti
comuni, e anzi li vive in modo più intenso della media.
Una novella paragonabile a Eva e Luce per
quanto riguarda la capacità trasfiguratrice dell’arte è Forza. In essa
la protagonista, dopo aver lungamente combattuto con sé stessa, finisce per
abbandonare il suo futuro sposo accanto al quale avrebbe potuto vivere nella
ricchezza. Riconoscendo la verità delle parole del violinista Heinrich Pauli
circa la superiorità della vita spirituale, decide di dedicarsi anche lei ai
grandi ideali. Nelle novelle Il demone e Ouverture,
raccolte nella sezione Volontà di conoscenza, l’arte non riesce però a redimere
i protagonisti. Ne Il demone lo studente di
teologia Paul Elias, che intende scrivere un’opera ispirandosi alla figura pia
di sua madre, finisce con il cedere ai discorsi seducenti dell’attrice Rita
Brandt. Il protagonista di Ouverture è invece un pianista che si reca ad ascoltare un concerto per dimenticare i suoi
tormenti: dopo un breve momento in cui riesce ad accedere alla pace dell’animo,
il suo istinto ferino prende il sopravvento e si bacia con la donna che siede
al suo fianco. Quello che emerge da queste novelle della raccolta Volontà
di conoscenza sembra quasi un monito: la redenzione è un’eccezione, non la
regola; la volontà ci domina e quasi sempre ci vince.
A proposito della scelta dell’espressione Wille
zur Erkenntnis per titolo di un’insieme di novelle in cui viene affrontata
la questione della redenzione, va detto che essa intende porre l’accento sulla
possibilità di un passaggio dalla dimensione della volontà che si nega ad una
visione salvifica. Com’è possibile che dei personaggi pieni di desideri
contrastanti, che si trovano in uno stato di profonda inquietudine, riescano a
raggiungere la liberazione dalla volontà? Da queste novelle emerge chiaramente
che tale passaggio può avvenire solamente in maniera miracolosa e repentina: è
come se la volontà prendesse conoscenza di sé stessa e si negasse di
conseguenza. Tale autocoscienza della volontà non accade a
livello intellettivo, bensì intuitivamente in modo essenziale[30].
Ciò aiuta a comprendere meglio il senso delle illuminazioni dei personaggi di Volontà
di conoscenza: essi sono riusciti a gettare uno
sguardo sul puro fenomeno attraverso una conoscenza non razionale, vivendo una trasformazione radicale
nel momento della visione.
IV. Conclusione:
la transizione dalla ricezione romantica a quella illuministica
Già negli scritti successivi a Eva che rientrano nella prima fase di
ricezione del pensiero di Schopenhauer (quella romantica, tra il 1914 al 1916),
Horkheimer comincia a mettere seriamente in discussione la capacità dell’arte
di poter rappresentare una via di redenzione durevolmente perseguibile. Del
resto, lo stesso Schopenhauer afferma che la contemplazione estetica è di
natura effimera. Ma a partire dal 1917 questa semplice costatazione, che rimane
confinata sul piano teorico, si trasforma in una critica di tipo sociale:
l’arte per l’arte porta infatti ad un vuoto idealismo che non riconosce la
realtà delle condizioni circostanti. E difatti, nelle novelle giovanili, la
tendenza di Horkheimer è quella di fondere i due indirizzi schopenhaueriani, etico ed estetico, anche se la
via di redenzione estetica perde via via di importanza lasciando maggior spazio
all’aspetto morale. A proposito dell’arte per l’arte, ecco come Horkheimer dipinge ad esempio
nella novella Gregor l’atteggiamento di certi letterati frustrati dalla
guerra che imperversa:
I
nostalgici poetavano la loro immagine di paradiso, il
loro furioso bisogno di senso e di giustizia nel futuro terreno e guadagnavano
così entusiasmo e obbiettivi. I desideri trasformavano
la colpa del presente orribile in imperfezione temporale. Essi chiamavano se
stessi combattenti dei giorni nascenti e annunciatori di una più felice
umanità, e le loro poesie erano piene di fiducia nella propria forza[31].
Horkheimer critica qui non solo gli esteti illusi, ma
sembra prendere le distanze anche dal se stesso di qualche anno prima,
ricorrendo in modo ironico a parole e toni che in precedenza attribuiva con
convinzione ai suoi personaggi. Oltre a ciò, è significativa la reazione del
protagonista Tom, che si adira con i letterati facendo risuonare in mezzo alla
bettola in cui si trovano il nome del suo amico prigioniero Gregor. La protesta
di Tom sta a significare che nell’orizzonte filosofico di Horkheimer la
dimensione concretamente politica è ormai diventata imprescindibile: anche se
il personaggio finirà per mescolarsi con la folla antisemita, il fatto che
nelle novelle a partire dal 1917 appaiono sempre più frequentemente dei
personaggi contestatari dell’ordine vigente indica chiaramente una svolta nel
pensiero dell’autore.
Uno di questi personaggi è Jochai, eroe della novella
omonima: fuggito da una sommossa antisemita e rifugiatosi in Argentina con la
sua amata, egli finirà per rompere con quest’ultima, per aiutare in modo
concreto il suo amico Gregor, lo stesso di cui parla Tom. Insoddisfatto della
soluzione etica rappresentata dall’amata Helmwige, che non gli sembra priva di
una certa ipocrisia, Jochai tornerà dunque in patria. Assistiamo qui ad una
revisione della ricezione di Schopenhauer da parte di Horkheimer, il quale si
dimostra critico nei confronti di una certa degenerazione sia della vita
artistica sia di quella etica. Quest’ultima verrà in particolar modo
rielaborata nel senso di un impegno mondano, della creazione di un legame di
solidarietà tra gli oppressi. Finisce così la ricezione romantica di Schopenhauer,
con una rielaborazione interna, e comincia dall’altro lato quella di tipo
illuministico, che caratterizzerà in modo duraturo l’opera horkheimeriana.
Riferimenti
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contesti. In: Centro interdipartimentale di ricerca su Arthur Schopenhauer
e la sua scuola dell’Università del Salento (a cura di), La scuola di
Schopenhauer: testi e contesti. Lecce: Pensa Multimedia, 2009.
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Aus der Pubertät. Novellen und Tagebuchblätter 1914-1918. Frankfurt am
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nostalgia del totalmente Altro. Brescia: Queriniana, 2019.
MALTER, R. Arthur Schopenhauer:
Transzendentalphilosophie Und Metaphysik Des Willens. Stuttgart: Fromann,
1991.
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Voluntas: Estudos sobre Schopenhauer, Rio de Janeiro, v. 8, n. 1, 1° sem./2017, pp. 84-115.
PONSETTO, A. Max Horkheimer, dalla
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die Schopenhauer-Schule.
Würzburg: Königshausen & Neumann, 2009.
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SCHMIDT, A. La fisionomia spirituale di Max
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1988.
SCHOPENHAUER, A. Carteggio
con i discepoli. A cura di D. Fazio. Lecce: Pensa MultiMedia, 2018.
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rappresentazione. 2 voll. Trad. it. di Sossio Giametta. Milano: Bur, 2002.
SCHOPENHAUER, A. Parerga e paralipomena. 2 voll. A cura
di G. Colli. Milano: Adelphi, 1981.
[1] FAZIO, D. La scuola di
Schopenhauer. I contesti, 16-216: 132.
[2] SCHMIDT, A. Frühe Dokumente der Kritischen Theorie, 371.
[3] SCHMIDT, A. La fisionomia
spirituale di Max Horkheimer, XVIII.
[4] MIGGIANO, P. Influenze schopenhaueriane nella "Sehnsucht" del
giovane Horkheimer, 84-115.
[5] HORKHEIMER, M. Gesammelte Schriften Bd. I: Aus der
Pubertät. Novellen und Tagebuchblätter 1914-1918, 230. Salvo diversa indicazione, tutte le traduzioni dal
tedesco sono di chi scrive.
[6] Originariamente in
HORKHEIMER, M. Aus der Pubertät, op.
cit., 159. Il passo è tradotto in PONSETTO, A. Max Horkheimer, dalla distruzione del mito al mito della distruzione,
33.
[7] SCHMIDT, A. Frühe Dokumente der Kritischen Theorie, 366.
[8] GUMNIOR, H. Introduzione a HORKHEIMER, M. La nostalgia del totalmente Altro, 29.
[9] SCHMIDT, A., Frühe Dokumente der Kritischen Theorie, 369.
[10] Ibid.
[11] Ibid., 368-9.
[12] HORKHEIMER,
M. Aus der Pubertät, 159.
[13] Ibid., 72.
[14] In realtà,
anche Schopenhauer aveva inteso riservare all’uomo una via, per così dire,
“democratica” di redenzione dalla volontà: se, attraverso la contemplazione
artistica, la via estetica di redenzione è riservata esclusivamente ai pochi
geni nati tali per natura, Schopenhauer indica però una seconda possibilità
(una “seconda navigazione”) di accesso all’intuizione dell’essenza del mondo
aperta a tutti gli uomini, l’esperienza del dolore, la quale conduce qualsiasi
uomo alla compassione, alla conversione della volontà e al miracolo del Mitleid.
[15] HORKHEIMER, M. Aus der Pubertät, 81.
[16] Ibid., 94.
[17] Ibid., 97.
[18] Ibid., 98.
[19] In realtà,
per Schopenhauer, la negazione della volontà è sempre totale e repentina, come
afferma in più luoghi delle sue opere. Si veda a tal proposito la discussione
intercorsa fra Schopenhauer e il discepolo Johann August Becker, che contesta
la posizione schopenhaueriana a favore di una redenzione graduale, in
particolare la lettera di Schopenhauer a Johann August Becker del 23 agosto
1844 e la risposta di quest’ultimo al maestro del 10 settembre 1844, in A.
Schopenhauer, Carteggio con i discepoli, a c. D. M. Fazio, 2 voll.,
Pensa MultiMedia, Lecce, 2018, vol. I, pp. 144 e ss.
[20] HORKHEIMER, M. Aus der Pubertät, 98.
[21]
HORKHEIMER, M. La nostalgia del totalmente Altro, 115.
[22] HORKHEIMER,
M. Aus der Pubertät, 66.
[23] Ibid.,
65.
[24] Ibid.,
66.
[26] HORKHEIMER,
M. Aus der Pubertät, 69.
[27] HORKHEIMER, M. Aus der Pubertät, 66. Sembra quasi una ripresa della conclusione del Mondo
(op. cit., § 71, 708): “Noi dichiariamo anzi liberamente: ciò che resta dopo la
totale soppressione della volontà è invero, per tutti coloro che sono ancora
pieni di volontà, il nulla. Ma anche, viceversa, per coloro in cui la volontà
si è rovesciata e negata, questo nostro mondo tanto reale con tutti i suoi soli
e le sue vie lattee, è – nulla”.
[28] Ibid., 81.
[29] HORKHEIMER, M. La nostalgia del totalmente Altro,
78.
[30] A
partire dai lavori di Rudolf Malter (cf. MALTER R. Arthur Schopenhauer:
Transzendentalphilosophie und Metaphysik des Willens, Fromann, Stuttgart,
1991.), Margit Ruffing ha approfondito il problema del passaggio tra volontà e
rappresentazione nella filosofia schopenhaueriana. Ruffing identifica nell’Idea
la chiave di tale passaggio: da un lato, essa rappresenta l’obbiettità adeguata
della volontà, con la quale si entra nel fenomeno (ma ad un livello puro, non
spazio-temporale), e dall’altro, venendo colta dalla particolare facoltà del menschlicher
Intellekt nell’intuizione estetica, rende possibile una conoscenza di tipo
non razionale, non intellettiva, bensì essenziale. Scrive la Ruffing: “Riguardo alla tematica del
passaggio, l’idea ha perciò una doppia funzione: essa segna il passaggio
dall’essenza [Wesen] al fenomeno [Erscheinung] e quello
dell’intuizione dell’intelletto impegnato in rapporti di causalità
all’intuizione dell’essenziale per i singoli attraverso l’ ‘intelletto umano’ [menschlicher
Intellekt]” (RUFFING, M.
Wille zur Erkenntnis? Die Problematik des Übergangs in Schopenhauers
Erkenntnistheorie, 106). Va segnalato che, là dove Malter e Ruffing
identificano il luogo teoretico privilegiato del passaggio tra i due aspetti
del mondo nella contemplazione estetica, Horkheimer usa il termine “conoscenza”
in senso più largo, facendo rientrare l’esperienza del dolore e quella della
compassione tra i momenti speculativi di passaggio.
[31] HORKHEIMER,
M. Aus der Pubertät, 66.